Inghilterra Italia 3-1. A lesson of football.

La Nazionale italiana di calcio esce male dallo stadio di Wembley. Per restare nel tema del momento, davo più credito a una vittoria azzurra con il minimo scarto, che una figura di basso livello come quella di stasera.
Nel primo tempo è stata una Italia paurosa dietro e in balia delle qualità tecniche di Kane, Bellingham e Rashford, imprecisa davanti e quando abbiamo fatto i passaggi giusti siamo stati pericolosi, segnando con Scamacca (lo stava sbagliando) e con un tiro di Udogie.
Due aspetti dovuti all'eccesso di timore.
Il gol di Rashford, mamma mia che forte che è questo ragazzo, è nato da un passaggio sbagliato. Da una imprecisione, come ho detto prima. Poi Di Lorenzo, che per me doveva restare in spogliatoio all'intervallo, gli ha detto "Prego, si accomodi", dandogli campo, spazio e visione. 

Spalletti è arrivato da poco, è alla sua quarta partita ma, soprattutto, ha questo materiale a disposizione, perché ai giocatori italiani si preferiscono quelli stranieri dal dubbio talento, al massimo inespresso. Quello che posso rinfacciargli è il modo di giocare: da Mancini a Spalletti, quando finiremo di intestardirci in un gioco che non siamo capaci di fare? La Nazionale di calcio al momento non ha i giocatori adatti per questo tipo. Credo che una mancata qualificazione al Mondiale, un Europeo ancora da conquistare passando per una vittoria obbligata contro Macedonia del Nord e Ucraina siano due prove.
Quando poi non giochi in profondità e in larghezza ma con frequenti, e lenti e prevedibili, passaggi per via centrali, un centravanti come Immobile e Scamacca è completamente inutile.
Il gioco del calcio era bello quando il gioco era diverso: largo e profondo, per allargare e allungare gli avversari, per puntare su cross dalle fasce e inserimenti dei centrocampisti. 
Oggi invece si parla di intensità e densità (Gesù Cristo!): passaggi veloci e tanti giocatori concentrati in uno spazio limitato. Però devi avere piedi buoni e concentrazione massima e soprattutto abitudine a questo sistema. 

Mi ha dato fastidio anche come Tiziana Alla, la giornalista Rai da bordo campo ma anche Alberto Rimedio (ma qualcuno di meglio non c'è?), il telecronista, abbiano minimizzato. Risultato troppo duro. No. Un risultato giusto. Abbiamo giocato male. Contro una squadra più forte. Semplice. A lesson of football. Nothing more, nothing less.
A fine partita hanno anche detto che "dobbiamo vincere contro la Macedonia del Nord e poi ce la giochiamo con l'Ucraina, e questo lo sapevamo". Cioè, sono andati a Wembley sicuri di uscirne sconfitti?! Ottimo approccio! Poi, come abbiamo visto due anni fa e circa due mesi fa, vincere contro la Macedonia del Nord non è scontato!

Oggi la Nazionale italiana di calcio ha perso perché sono molto più poca roba i suoi calciatori che tanta roba Bellingham, Kane e Rashford.

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L'assurda iniquità dell'INPGI

Post da vena chiusa. 
Oggi è quel giorno che mi fa maledire il giorno in cui mi sono iscritto all'Ordine Dei Giornalisti. 
È la scadenza del pagamento del minimo contributivo all'INPGI (l'istituto di previdenza dei giornalisti). L'importo è di 402,71.

Ho 2 contratti (pensa un po'!): un cococo, per il quale ci pensa l'azienda a versarmi i contributi e uno come occasionale, da poco più di 300 euro l'anno. 
Quindi, per via di questo ricchissimo contratto, devo versare più contributi di quello che effettivamente ho dichiaro come reddito. Nonostante diversi solleciti, l'INPGI (= il ministero) si rifiuta di porre un tetto minimo come reddito di riferimento per il pagamento del contributo. Al momento, è di 2.361,33 euro. Già è una cifra ridicola che non dovrebbe nemmeno esistere, figuriamo se merita di essere tollerata. Ma l'Ordine più di tanto non si muove. 
Ripeto, io ho dichiarato poco più di 300 euro annui nel 2022. Quello che prendo, non è sufficiente a pagare quello che mi chiede il mio istituto di previdenza. Una presa in giro.

Nel frattempo, il bilancio dell'INPGI è sprofondato in un buco, creato dalle precedenti pensioni troppo generose (anche di alcuni giornalisti che continuano a collaborare con delle testate, permettendo alla creazione di disoccupazione tra colleghi) e, visto che faticava a pagarle, ha pensato di migrare verso l'INPS, abbandonando ai cazzi loro i giornalisti che non hanno contratti stabili. 
Però, i compensi dei componenti degli Organi di indirizzo politico e dei titolari di incarichi dirigenziali, di collaborazione e consulenza non sono affatto male. Mi chiedo come l'INPGI riesca a garantirli, dopo il passaggio dei giornalisti fighi all'INPS e con i soli contributi di quelli sfigati dell'INPGI 2.


Il mondo, da qualsiasi parte lo guardi, è distante anni luce dall'essere equo.


Ormai il giornalismo, come quello che faccio io e se tale può definirsi, è più un hobby che una professione, un piacere che faccio ai capi redattori per coprire buchi. Dal mio modestissimo punto di vista, che posso capire possa fottere zero, gli hobby e i piaceri non devono essere tassati. 

Ecco come si creano gli abusi di professione e mentre questi proseguono, chi è in regola viene bastonato, anche da chi lo deve difendere. Ma forse, è anche colpa nostra, che porgiamo l'altra guancia e, quando non basta più, diventiamo dei Tafazzi. 

A titolo informativo, qui si seguito i diversi importi degli anni precedenti:


     
          
CONTRIBUTO SOGGETTIVOCONTRIBUTO INTEGRATIVOCONTRIBUTO MATERNITÀTOT.
2021257,24 €85,75€27,90€370,89€(1)
2022262,13 €87,38€40,39€389,90€(2)
2023283,36 €94,45€24,90€402,71€(3)

(1) I predetti contributi minimi sono stati determinati dal Comitato Amministratore della Gestione separata con delibere del 28/01/2021. Tali delibere sono state regolarmente approvate dai Ministeri vigilanti. 
(2) Il contributo di maternità è stato determinato dal Comitato Amministratore della Gestione separata con delibera n.3 del 01/02/2022. Nelle more dell'iter di approvazione ministeriale della predetta delibera, tale valore è applicato in via provvisoria e salvo conguaglio all'esito del provvedimento di approvazione da parte dei ministeri vigilanti. 
(3) Nelle more dell’iter di approvazione ministeriale della delibere di determinazione dei suddetti contributi minimi, tali valori sono applicati in via provvisoria e salvo conguaglio all’esito del provvedimento di approvazione da parte dei ministeri vigilanti.


PS: il titolo forse non rende l'idea. Ma non mi sembrava opportuno scrivere una bestemmia.

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Vicenza, il concerto annullato di Nick Mason. Cronaca di una illusione



Erano mesi che aspettavo il concerto di Nick Mason’s Saucerful of Secrets, la band che il batterista dei fu Pink Floyd ha messo insieme per celebrare l’epoca barrettiana, quella ante dell’osannatissimo The Dark Side of the Moon, ovvero dal 1973 indietro. Una parte del gruppo inglese che conosco molto, molto meno. 

Un evento incredibile per la soporifera Vicenza, una città che raramente propone appuntamenti del genere e quando li propone, prevalentemente interessano a una cerchia di presenzialisti.
Come rari sono i brani che Mason e company suonano sul palco, come Arnold Layne o Let There Be More Light, proposti in occasione del loro primo concerto a Londra il 20 maggio 2018. Ascoltare dal vivo le canzoni che hanno fatto la storia della musica, credo raggiungendo la vetta più alta che una nota possa raggiungere, è uno di quegli eventi classificabili come imperdibili. Per un vicentino a Vicenza ancora di più. 

La data prevista, mercoledì 18 luglio, suonava bene. Non tanto per il mercoledì ma per il mese. Una bella serata estiva, magari allietata da quel vento che ogni tanto gira per le strade cinquecentesche del centro città.
In effetti il vento c’è stato ma non di quelli allietanti, anzi. Verso il tardo pomeriggio ha iniziato a soffiare prepotente, sollevando la cappa di caldo soffocante, ma portando con sé nuvole preoccupanti. Nonostante lo scenario non si preannunciasse dei migliori, per evitare problemi di parcheggio sono andato in moto, cercando un posto lontano dagli alberi. Che va bene non essere pessimisti ma un po’ di cautela non fa mai male.

Nemmeno il tempo di sedermi e scambiare due chiacchiere con i miei due vicini di concerto, uno dei quali col naso già su una app di meteo per monitorare il percorso di quello che avevamo sopra la testa, che una voce amplificata dal megafono ci invita con forza a sistemarci nel portico sotto la Basilica Palladiana.
Ecco.
Non inizia bene. Beh, al momento deve ancora iniziare ma l’intro non è quella che ci aspettavamo
Così, senza poter fare altrimenti, ci piazziamo sul primo gradino del portico, pronti a riprendere i propri posti, se non fosse che gli omoni della sicurezza ci invitano, per la nostra incolumità, con forte insistenza, ad abbandonare il posto e dirigerci verso le uscite di sicurezza e che entro mezz’ora ci avrebbero fatto sapere qualcosa. Per chi non conoscesse il posto, significa andare sotto l’altra parte del portico.

Nel frattempo passa la mezz’ora, i quarti d’ora iniziano ad accumularsi e non voglio trascorrere tempo piantato sul telefono a monitorare i giri del temporale e a messaggere cretinate. Così, inizio a pensare a cosa poter scrivere a seconda dell’ipotesi positiva o negativa. E inizio a girare per la Basilica ammirando il capolavoro architettonico di simmetrie, razionalità e illusioni che Andrea Palladio ha creato, sopra un altro piccolo edificio, precisamente al centro, rivolto verso Piazza delle Erbe.

Quando la mezz’ora passa ormai per la terza volta, arriva l’atteso annuncio, quello più temuto dal pubblico. Niente da fare. La pioggia arriva anche in Piazza dei Signori anche se non così intensa come altrove. Se avessero anticipato l’inizio del concerto alle 21, ci saremmo potuti beare di circa 90′ di puro spettacolo. Quanto basta per stare bene. Se la tua squadra del cuore termina vittoriosa dopo 90 minuti e stai bene, figuriamoci come puoi stare dopo 90 minuti di Nick Mason.

Così finisce questo concerto mai iniziato. Un po’ come la città che doveva ospitarlo. Dove sembra debba sempre succedere qualcosa di eccezionale e i suoi cittadini sono in attesa. Ma al massimo, tutto quello che succede, è un temporale di mezza estate.

[Articolo pubblicato su musicletter.it]

PS: non posso esimermi da una osservazione polemica. A Vicenza ieri sera c'erano persona dal Piemonte, dalla Sardegna. Venuti apposta per il concerto. Vicenza ha cercato di vivere di turismo grazie al baccalà e Palladio. Che non sono nemmeno autoctoni, perché il pesce è norvegese e l'architetto è padovano, rispettivamente. Tutti gli amministratori precedenti e relativi addetti alla promozione della città, non potevano pensare ad altro che a queste due super attrazioni per portare turismo in città. Caspita. E con che toni trionfalistici e sicuri! Il risultato è (stato) fallimentare. Perché al massimo questi passavano in visita per poi dirigersi verso altri lidi. 
Non dico che bisogna abbandonare queste chiavi di attrazione, ma ormai è comprovato che un concerto invece è un evento dall'incredibilità potenza attrattiva. Vallo a chiedere alle altre città limitrofe. Non è la prima volta che lo dico. Spero che i nuovi amministratori lo abbiano capito e agiscano.

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Non sono strade per motociclisti

Torno a scrivere nella Zona Verde dopo oltre un anno. Sarei tornato anche prima ma non pensavo che quello che avevo in testa potesse interessare ad altre persone così tanto da scrivelo. Così dopo i vari ripensamenti quella cosa in testa è svanita insieme al modo in cui volevo scriverla.

 

Ieri notte guardando le vecchie email ne ho trovata una del novembre 2013, un tentativo velleitario di concupire un responsabile di redazione di una rivista di moto che ora non c'è più (la rivista, lui sì e suona molto bene!). Era una mia riflessione sulla difficile vita che i motociclisti affrontano quotidianamente nella giungla urbana, tra pericoli che arrivano da ogni direzione: davanti, dietro, destra, sinitra e addirittura sotto se l'asfalto ha i tarli. Manca solo che gli caschi qualcosa dal cielo, ma non sono esclusi i rifiuti gettati dalle auto.

 

Comunque sia, ecco qui, leggermente rivisto, il pensiero che ho scritto 9 anni fa, "di ritorno a casa dopo il solito percorso casa-ufficio che mi ha visto illeso ancora una volta, nonostante i pericoli uscissero da tutti gli angoli. E' solo una mia considerazione di quanto siamo fortunati noi motociclisti, se nessuno ci cecchina prima!".

 

N.B.: già 9 anni, fa alle 7:30 di mattina, il termometro segnava 17 gradi, che non sarebbe strano se non fosse stato novembre!

 

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Questo autunno inoltrato è anomalo: scendo in garage alle 7 e mezza del mattino e la colonnina del mercurio ha (già) passato il livello dei 17 gradi. All’improvviso, sento il peso della membrana impermeabile e dell’imbottitura termica all’interno della giacca da moto. Però le previsioni del tempo per oggi mettono pioggia da giorni (le previsioni mettono sempre pioggia, per la legge dei grandi numeri prima o poi ci prendono). Porcamiseria, anche Nicolas Cage nei panni dell’astrofisico John Koestler nel film “Segnali dal futuro” metteva all’erta su temperature anomale in autunno. E si parlava di fine del mondo!

 

Ma quello era un film, era finzione. E questi 17 gradi e passa sono realtà e non c’è da interpretare alcun codice che prevede disastri . L’unico disastro semmai è da affrontare ogni giorno: il traffico urbano che ci mette in difficoltà quotidiana in sella alla moto, perché anche in una città di provincia circolare in moto diventa una specie di video game dove i motociclisti hanno il compito di schivare i numerosi e vari pericoli che si incontrano per strada. Un Hunger Game urbano, e vedi mai che qualcuno ad Hollywood non copi l’idea, dove moderni centauri devono lottare per la sopravvivenza in un tutti contro tutti insieme ad automobilisti, ciclisti, pedoni con tanto di sorprese che affiorano dall’asfalto.

 

Le auto che sbucano da vie laterali immettendosi in strada con irritante lentezza, che frenano all’improvviso senza motivo, che cambiano corsia senza mettere la freccia oppure con la freccia in funzione proseguono per la medesima direzione traendo tutti in inganno. E poi ci sono le rotatorie, vorticose trappole urbane, una roulette da affrontare facendosi un preventivo segno della croce sperando di non venire cecchinati da auto che si buttano a tutta velocità dietro alla scusa “mi sono immesso per primo e faccio quello che voglio” oppure, vedendo arrivare lo strato sottile di una moto, pensano di avere più spazio nella carreggiata, e allora dentro anche loro!

 

Altri nemici ai quale fare estrema attenzione sono le corriere e gli autobus, che sfruttano la loro mole pachidermica per occupare la strada indifferenti dell’altrui presenza, che sia a quattro o due ruote. A loro si deve dare spazio, perché l’alternativa è che se lo prendano senza chiedere.
Altre variabili imprevedibili sono i ciclisti: grazie alla scusa ecologica si arrogano mille diritti, come quello di occupare il manto stradale quando il comune ha messo a loro completa disposizione (con i soldi pubblici, quindi anche i loro) una ampia, protetta, sicura pista ciclabile ben delimitata, oppure te li trovi davanti all’improvviso sbucandoti dalle spalle o attraversando le strisce pedonali senza preavviso, insieme ai pedoni. Questi ultimi sono altrettanto pericolosi, specie se hanno una carrozzina: affrontano la strada come se non la avessero e incuranti di avere un oggetto piuttosto invadente tra le mani, espongono al pericolo stradale prima il passeggino e poi guardano se possono attraversare, quando guardano! Facessero il contrario, il numero delle angina pectoris sarebbe in calo verticale.

 

La giungla urbana cela le sorprese più subdole nel basso, proprio nell’asfalto che percorriamo ogni giorno: la stabilità e le abilità dei motociclisti infatti vengono messe alla prova da buche (o veri e propri crateri se piove per due giorni di fila) in mezzo alla strada, dagli scalini delle rotatorie, dai dossi dissuasori di velocità che sono un ostacolo anche per le auto, dalle strisce colorate che sono un vero e proprio scivolo per le due ruote. Per non parlare dei lavori stradali, vere e proprie ghigliottine: non capisco perché quando si rifà l’asfalto, le strade non sono allo stesso livello del manto precedente col risultato di dover schivare anche angoli concavi, oltre a quelli convessi! E sono sempre di più le strade che assomigliano a dalmata.
Alla fine i lavori stradali non tengono in considerazione i motociclisti: una riasfaltatura fuori livello è già un pericolo per le automobili, figuriamoci per la moto, la cui stabilità conta su due ruote in meno. Poi siete mai passati con la moto su una strada con l'asfalto grattato, prima della riasfaltatura? Una prova di equilibrismo e bestemmie.

 

Lo sappiamo, per ogni moto circolano 10 auto. Ma se guardiamo bene, dentro ogni abitacolo, c’è un solo automobilista. Se circolassero due persone per auto, si dimezzarebbero i mezzi in circolazione. Invece si preferisce la solitudine all’interno della propria scatola di lamiera. Anche noi motociclisti siamo soli, ma è un uno contro uno impari: loro protetti dentro scatole sempre più grandi e sicure, noi in sella esposti all’aria e ai pericoli. Come i ciclisti e i pedoni anche i motociclisti devono prestare più attenzione. Perché alla fine tutta la disquisizione è una questione di rispetto: del codice della strada, degli altri e anche per sè stessi.

 

Prima si parlava di video game. Ma qui invece si parla di realtà, dove non ci sono crediti o monete da inserire né trucchi per rendere le cose più facili. E alle volte finzione e realtà finiscono per fondersi. Il pericolo è quello di vedere nei cataloghi dei vari customizzatori dei cannoni al plasma, altro che filtri conici idrorepellenti e nuove centraline elettroniche, in barba alle prestazioni. Così sì che l’Hunger Game sarebbe completo.



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Più spazio e vita per lo sport

Sono appena terminate le Olimpiadi di Tokyo, le migliori della nostra storia: gli atleti italiani hanno conquistato 40 medaglie in tutto: 10 ori, 10 argenti e 20 bronzi in 19 specialità. Qualcuno obbietterà che è stata anche l'Olimpiade con la delegazione maggiore di tutti i tempi, non si erano mai visti così tanti atleti e, per la legge dei grandi numeri, è anche facile conquistare più medaglie. 
Col piffero! Intanto sono riuscite a qualificarsi diverse squadre olimpiche: basket maschile (dopo 17 anni sono tornati!), pallavolo (maschile e femminile), pallanuoto maschile, ginnastica artistica, nuoto sincronizzato, ciclismo su pista. Le Olimpiadi non sono un torneo estivo al quale partecipi perché paghi l'iscrizione, ci vai grazie ad anni di impegno, sacrifici e dannazione. Non so quante altre nazioni avessero lo stesso numero di squadre.

L'Italia è la 10ma nazione ma, per numero di medaglie, è settima, davanti a Olanda, Francia e Germania e, se Regno Unito e ROC (Comitato Olimpico Russo, l'escamotage creato per far partecipare gli atleti russi ai Giochi di Tokyo, visto che la Russia è stata squalificata per doping) si considerano europee (non solo quando fa comodo loro), sarebbe la terza nazione europea. 
Non era ancora finita la prima settimana che c'era già chi parlava di fallimento, dopo i tanti bronzi ci si lamentava di atleti non all'altezza tecnicamente e psicologicamente, tra giornalisti e anche tra ex atleti ora commentatori in televisione. 

Non voglio fare un'analisi di cosa è andato bene e cosa storto perché, ve lo dico se in caso avete un'opinione diversa: vincere è difficile! Per noi che siamo seduti sul divano non sembra. Ripetersi è ancora più difficile. Se poi cambiano le modalità di gara rispetto alle Olimpiadi precedenti i paragoni si fanno complicati. E poi perché cosa è andato bene lo sa anche la gatta (che sul divano dorme) e non sono nella posizione di commentare  cosa è andato storto. Poi si sa che effetto fanno le aspettative e sì, una certa pressione non è così facile da sostenere.
Quello che ho visto però è che le Olimpiadi di Tokyo hanno premiato di più gli sport individuali e dove non pensavamo di conquistare medaglie.

Allora, cosa voglio fare? Dall'alto dei miei 11 follower, 14 dei quali in vacanza e che non leggeranno queste righe, vorrei chiedere più considerazione da chi amministra lo sport. Dopo questo risultato fantastico e inatteso da chi ha guardato le Olimpiadi sul divano, vorrei che qualcuno guardasse bene questi atleti, tutti quanti, quelli che hanno rappresentato i colori dell'Italia, della loro federazione. Perché lo sport merita attenzione concreta. Non 'più' attenzione, ma attenzione.

Non avremo mai una impostazione di tipo americano, sarebbe necessaria una rivoluzione del sistema scolastico e sportivo. Infatti negli USA la considerazione dello sport è tale da ricoprire un ruolo importante nel percorso educativo: per chi vuole fare sport ci sono le squadre delle scuole e delle università, che si scelgono gli studenti, garantendo anche borse di studio ai/alle più bravi/e, per meriti sportivi e che fanno da passaggio verso il professionismo. 
Insomma, puoi avere una educazione e un futuro grazie all'impegno nello sport.

Nelle scuole italiane invece se fai sport sei penalizzato. Ricordo ancora bene le parole del mio professore di chimica e biologia in seconda superiore: "Hai capito le mie intenzioni nei tuoi confronti. O studi o fai sport!". Ho perso un anno di scuola (ma non di vita!) perché dedicavo più tempo allo sport, perché insieme ad altri splendidi ragazzi abbiamo vissuto una stagione sportiva esaltante, che richiedeva molto impegno. Che i miei professori consideravano un ostacolo. O nemmeno lo sapevano, perché per loro non esisteva niente altro dopo la scuola, davano per scontato vivessimo solo per quello.
Certo qualche materia non mi entrava in testa (sottolineo che facevo ragioneria, quindi chimica e biologia non erano così fondamentali) ma al confronto con qualche altro compagno di classe che invece non faceva una mazza dopo la scuola, avevo meno tempo per prepararmi. Ma chi se ne frega? Erano solo problemi miei. Lo sport, era un problema mio. 
Ecco come viene considerato lo sport, fin dai settori giovanili, da chi non fa sport.
Invece lo sport è un'altra scuola, ti insegna tante cose: lo spirito di sacrificio e quello di squadra, il senso di appartenenza, la condivisione di un obiettivo comune, il rispetto delle altre persone e dei ruoli ma anche a credere in te stesso e a essere tenace.

In Italia non capisco perché un/'atleta non possa fare sport professionistico con la sua società sportiva ma deve far parte dei corpi delle Forze dell'Ordine, mettendo la rispettiva divisa solo quando è in gara, o se viene ospitato in un programma alla televisione.

Ma la considerazione la vedi nel dare la possibilità di allenarsi come si merita a chi si pone delle ambizioni (i mondiali, le Olimpiadi), a chi vuole fare dello sport una cosa seria, una professione. Altrimenti, altre 40 medaglie saranno molto difficili da vedere.

Vorrei si pensasse di più alla realizzazione di impianti sportivi: non avendo squadre scolastiche ma tantissime società sportive con grandi settori giovanili, ci sono enormi problemi di disponibilità di impianti sportivi. Ci si affida alle palestre delle scuole, si litiga per organizzare gli orari. Ci fossero meno capannoni industriali abbandonati e più impianti sportivi, allora 40 medaglie Olimpiche non sarebbero un evento eccezionale.

In Inghilterra lo sport è concentrato prevalentemente nel sud dell'Isola, per motivi climatici ed economici (quelli sembrano imprescindibili eh!?), ma i risultati sono sempre stati ottimi. Molte opere vengono finanziate da progetti ben strutturati, il project financing non arricchisce solo l'impresa costruttrice ma realizza opere per il reale interesse pubblico. 

Ma è altrettanto necessario che lo sport si reinventi Non è possibile che società sportive dilettantistiche scompaiano per motivi economici! E' pazzesco. Chi fa sport dilettantistico non può chiedere soldi, che per altro sappiamo da dove arrivano e mi chiedo come chi debba controllare non se ne accorga. O voglia accorgere.

Per come gli atleti siano cresciuti in questa situazione, dove ci sono bravi dirigenti lasciati a se stessi e altri che illudono solo per interessi personali, quelle 40 medaglie hanno un valore grandissimo. Per noi sono state un'emozione enorme, per chi le ha portate a casa, ha il sapore di una vita pensata solo a quello, tra mille problemi. 

Lo sport merita impegno. Non solo sportivo. 

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Saper vincere

Massimo Stano è appena diventato campione Olimpico nella 20 km di marcia
Una gara difficile già di suo corsa in condizioni difficili. 
Taglia il traguardo, urla di gioia e poi basta. 
Si gira, si leva gli occhiali e si prende alcuni secondi per aspettare il 2° e il 3°, entrambi giapponesi e si inchina davanti a loro, per rendere onore a entrambi. 
Perché alla fine siamo ospiti e li abbiamo battuti in casa loro, ma un avversario va sempre rispettato. 

Prima di arrivare solo un cenno per dedicare la vittoria al/la figlio/a in arrivo. E poi, appena arriva, dopo 20 km di tacco-punta e ancheggiamenti a ritmi che qualcuno non tiene nemmeno per 1/10 dei km, non pensa subito a festeggiare, a prendere la bandiera, non abbraccia l'allenatore ma pensa agli avversari. 
Si prende quei secondi in più per dedicarli agli avversari con i quali ha condiviso la fatica.
Fantastico. Nessuno fin a ora lo aveva mai fatto o, almeno, non l'ho mai visto fare a qualcuno prima di lui. 

Bravo Massimo, per il senso di sportività e di rispetto per gli avversari e i padroni di casa. Un gesto che onora anche la maglia che indossa e la Nazione che rappresenta. 
Il valore dell'atleta lo dimostra l'oro della medaglia che porterà a casa e che arricchisce il medagliere e l'orgoglio italiano. Ma il valore dell'uomo è tutto in quei due inchini.

Vincere è dannatamente difficile. Saper vincere lo è ancora di più. Lo sport è tante cose, lo abbiamo già visto, me è anche rispetto ed emozioni.
Adesso può desfarsi quanto vuole con i festeggiamenti perché una vittoria così lo merita!

E non dite che è solo sport.

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Non è solo uno sport!

Eravamo lungo la strada del ritorno da un weekend in moutainbike sulle Pale di San Martino, appena rifocillati e asciugati dopo una mattinata a prendere acqua e freddo ma a divertirci come non capitava da tempo.
Il provider web mi ha regalato 3 mesi di una web tv che trasmette le Olimpiadi e così posso vedermele su internet, dal momento che a casa non ho la tv. Peccato che la RAI non abbia acquistato i diritti per la trasmissione in streaming, l'atletica senza il commento di Franco Bragagna non è la stessa cosa, ma ce la facciamo andare bene.
Infe mi tiene il telefono perché senza alcun supporto la sua incolumità in curva (del telefono, non di Infe) sarebbe in serio pericolo.


Stiamo guardano la finale del salto in alto, dove c'è Gianmarco Tamberi: è a medaglia, perché lui e il qatariota Mutaz Essa Barshim hanno saltato 2,37 metri senza errori. A un certo punto sembra che se la stiano giocando a pari e dispari. E invece no: perché giocarsi l'oro quando ce l'hanno già al collo e chi se ne frega se il fabbro dovrà forgiarne un'altra in più? E' Barshim ad avvertire Tamberi: "Wait! Wait! Wait!" gli dice, capisce che ci può essere qualcosa di bello per entrambi. Quando chiede al giudice se possono avere due ori, un po' come quando in trattoria due persone dello stesso tavolo vogliono entrambe gli spaghetti con il sugo di astice, il giudice è un po' in imbarazzo (forse pensa al fabbro...) mentre a Tamberi si accende la lampadina in testa, che esplode quando l'amico-rivale Barshim lo abbraccia e gli dice "History, man!".


E' fatta, 5 anni di fatica, di sforzi, di lotta contro il fisico, se stessi, il destino o meglio, di una scelta che poteva risparmiarsi che lo ha privato di una medaglia alle Olimpiadi di Rio, contro un virus che ha prolungato di un anno, interminabile e stressante, l'attesa verso questo momento. 
Tamberi si lascia andare al piano di gioia e penso che nella sua mente sia scorso il film di questi 5 anni, testimoniati dal gesso che si è portato in pedana, come se avesse avuto bisogno di ricordarsi chi è, cos'è successo e cosa ha vissuto. Forse una pantomima, ma provate voi a vivere i suoi cinque anni e ditemi se non avreste reagito a modo suo. Io forse sarei ancora per terra a piangere incredulo, ebbro di gioia. 


Passano 10' e raggiungiamo la macchina di Giuda e Olo, facciamo i fari: no, non ci è caduta - ancora - la bici dal porta bici (altra storia, per fortuna breve e a lieto fine). C'è la finale dei 100 metri, LA gara delle Olimpiadi, c'è Marcell Jacobs, salite in macchina da me che ce la guardiamo tutti perché questi eventi sono unici e bisogna viverli insieme.
Nemmeno Mazinga Zeta ha avuto una presentazione così al suo debutto! Partenza falsa dell'inglese, chissà se in patria chiederanno di ripetere la gara o diranno che è colpa di Jacobs, che è così freddo e concentrato che nemmeno si è mosso dai blocchi.
Si riparte. E parte bene Jacobs. E' davanti Jacobs. "Marcello!", lo chiama Franco Bragagna dal microfono RAI, come ho sentito più tardi cercando il suo commento registrato. "Marcello! Marcello!"
Ha vinto!!! Ha vinto!!! Ha vinto!!! L'uomo più veloce del mondo a queste Olimpiadi è italiano!!! Me lo avessero detto la mattina prima, non ci avrei creduto. Nelle gare di qualificazione si è sempre migliorato, ha cercato di andare oltre i propri limiti ogni volta. Ma la vittoria è una bellissima impresa. Una bellissima sorpresa.
Anche lui ha perso le Olimpiadi di Rio per un infortunio, dopo tanto lavoro per esserci. Soprattutto dopo essersi dedicato alla velocità dopo buoni risultati nel lungo. 
Piano piano, con costanza e fiducia in se stesso, si è impegnato in una nuova specialità, si è sempre migliorato anno dopo anno. Negli ultimi due anni è esploso: nel 2018 passa da 10"82 a 10"08, nel 2019 scende a 10"03. L'anno scorso torna a 10"10. Nel frattempo migliora costantemente nei 60 metri indoor e a marzo di quest'anno con 6"47 diventa campione europeo e registra il nuovo record europeo.
Ieri ha vinto l'oro olimpico, ha fatto tre primati nazionali e due europei, migliorando ogni sprint. Ha Abbassato il suo crono di 30 centesimi in un anno: il record del mondo dei 100 è di 9'58", quando Bolt lo ha demolito ai mondiali di Berlino nel 2009. Facendo un confronto con l'ultima gara di Bolt ai 100 proprio alle Olimpiadi di Rio, il campione giamaicano ha corso in 9"81. Jacobs ieri in 9"80. Certo, al tempo un crono così non era nelle sue gambe, correva in 10"23. Però se ci pensate, rincorrendo una motivazione come Usain Bolt, chissà cosa sarebbe potuto capitare. Oggi Marcell Jacobs succede a Bolt. E ancora faccio fatica a crederci. 
L'anno prossimo a luglio ci sono i mondiali di atletica, tenesse queste prestazioni... 


Nell'arco di poco più di 10', due atleti italiani vincono l'oro nelle loro specialità. Tamberi e Jacobs hanno saltato e corso oltre i propri limiti.
Quando ero bambino e vedevo americani, inglesi, giamaicani, canadesi insomma tutti gli altri vincere, mentre Panetta, Antibo e Mei si sforzavano di portare qualche successo a casa, mi chiedevo quando sarebbe successo a un italiano. 
E ieri, in una decina di minuti, un'emozione fortissima da Tamberi e Jacobs.


Questa mattina è tornata sul tappetone Vanessa Ferrari: ha più cicatrici lei sui piedi che graffi sulla carrozzeria un'auto di endurance. E' stata la prima italiana a diventare campionessa del mondo, poco prima aveva conquistato il titolo mondiale a squadre e l'anno successivo campionessa europea al corpo libero. Poi la lotta con gli infortuni, un tendine che non da pace. L'operazione nel 2009, il lungo recupero verso le Olimpiadi di Londra. 
Olimpiadi agognate e dannate perché a Londra e Rio viene beffata: due quarti posti per un dettaglio, quello che ti fa lavorare e impazzire in allenamento e per il quale un giudice può penalizzarti privandoti di una medaglia. 
Nel 2016 si rompe ancora il tendine durante la finale del corpo libero a Montreal. Posso solo immagine il dolore, fisico e morale. Ma Vanessa si riopera, si impegna ancora, ma la vita non le da tregua e nel 2019 altro intervento chirurgico a entrambe le caviglie. L'anno precedente alle Olimpiadi di Tokyo. Questa volta, il virus la aiuta, spostando i Giochi di un anno. 
E quest'anno Ferrari ritorna sul tappeto. Sfiora la medaglia a squadra. Questa mattina si porta a casa l'argento con una prestazione fantastica, sicura, determinata. Bellissima! A 30 anni. Nonostante tutto o, forse, anche grazie a tutto. 


Sono proprio queste cose che ti danno la carica, perché quando qualcuno o qualcosa ti dice che "non puoi", allora è bello rispondere "io voglio"
Perché non devono essere gli altri, la vita, la sfiga, il destino o chissà quale altra scusa a decidere quando smettere. Che sia un legamento crociato, un tendine o un muscolo che si spacca, lo decidiamo solo noi. Padroni di noi stessi.
E' più facile capire queste sensazioni se hai fatto sport, al massimo lo segui bene, e sai cosa significa passare attraverso operazioni, gessi, immobilità, riabilitazione, vedere gli altri gareggiare mentre tu stai fermo. 
Provate a immaginare l'atleta che vive in preparazione al mondiale o all'Olimpiade. Duro lavoro per 4 anni. E poco prima, crack, si spezza un tendine. E quei 4 anni precedenti di lavoro duro sono stati inutili, perché l'obiettivo diventa all'improvviso irraggiungibile. E nel migliore dei casi, ti rimetti a lavorare per i prossimi 4 anni. Più forte di prima. Perché se lo sconforto non divora l'atleta, è la voglia di rivalsa che lo spinge, di tornare a saltare, correre volteggiare, in pista nel tappeto. Una motivazione grande così. 

A distanza di ore continuo a guardare i video ti Tamberi, Jacobs e Ferrari e non smetto di emozionarmi.
Non è solo sport. C'è un mondo di fatica, sacrifici, fame, sudore e dannazione per arrivare alla redenzione.

Bravi ragazzi e grazie per le emozioni.


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