Il senso del bob

Finché guardavo la prima discesa solitaria di Tommaso con il bob, una parte di me si staccava per scendere con lui. Io me ne stavo li da solo seduto sulla neve senza accorgermi che mi si bagnava il culo tanto ero preso a seguirlo e non sapendo se era più dilaniante la tristezza o più rinfrancante la felicità.
Il primo colpo me lo aveva dato poco prima appena arrivati in cima annunciandolo a modo suo: “Papà, devo dirti una cosa” uscito di bocca come al solito come un alito. Avesse mangiato lo spicchio d'aglio più potente del mondo sarebbe stato meno mortifero:


 “Adesso tu non vieni con me nel bob. Vado io da solo”

Il papà non può che lasciarlo andare, per un quarto sorpreso perché Tommaso è un bambino piuttosto giudizioso quando si tratta di attività che possono mettere a rischio la propria incolumità, per un quarto felice per la sua decisione di prendere il suo coraggio e scendere la discesa con il bob ma per l'altra metà distrutto perché quella scelta è un pezzo di cambiamento nemmeno tanto leggero.
Pensare che mezz'ora prima gli avevo messo gli sci ai piedi e si era spaventato per una caduta su una discesa brevissima per quanto ripida, e aveva preferito ritornare a giocare con il bob. Un'altra discesa insieme, salendo a piedi per quella collinetta mentre dall'altra parte del confine sulla pista dedicata c'è il rullo che ti trasporta per una pendenza minore a un'altezza inferiore. Tommaso si era seduto sul bob e io lo avevo tirato fino a dove avevamo deciso di partire e scendere insieme.

L'ultima volta che siamo andati con il bob era molto spaventato dalla velocità ma era due anni fa ed era più tato mentre oggi dopo una delle prime discese insieme si è lasciato andare con un “Fiigo!”. Ma passare dal “Fiigo!” a chiedermi di andare da solo non me lo aspettavo. Di solito sono io che gli chiedo se se la sente di fare qualcosa da solo, come scendere in bici per la strada di casa e ricevo sempre la solita monosillabica risposta negativa. Oggi pomeriggio invece Tommaso ha scelto: papà, voglio andare da solo. E io dalla metà della collina guardo scendere a una bella velocità il mio bambino. Che appena arriva si gira e urla: “È bellissimoooo!”.  Chissà quanta adrenalina aveva durante la discesa e quanta ne ha buttata fuori con quell'urlo


Eccola qua come va la vita: accompagni tuo figlio su per la collina, lo traini sul bob le prime volte perché la salita è ripida e per lui è faticosa, lungo la salita gli spieghi come usare i freni e cosa succederà. Quelle successive cammina di fianco a te e a volte ti fermi ad aspettarlo, con una mano traini il bob e con l'altra stringi la sua manina ovattata dentro il guanto per fargli fare meno fatica e aiutarlo nella sua salita. Lo accompagni nelle prime discese, lui davanti con l'aria che gli arriva in faccia veloce grazie al peso del suo papà che per un pezzo lascia andare e per un altro pezzo tira i freni per non spaventarlo sempre pronto a proteggerlo. Quelle successive la velocità aumenta e i tratti rallentati si fanno sempre più brevi rimanendo sempre in guardia.
Finché tuo figlio capisce che gli piace ma soprattutto che si sente sicuro e vuole provare a scendere da solo. “Adesso tu non vieni con me nel bob. Vado io da solo”. E tra quelle due frasi vorrei pensare che sia sospeso un ringraziamento non detto, una spiegazione di quello che è successo: “Grazie per avermi insegnato a divertirmi con il bob, a scoprire quando e come frenare, a non aver paura di scendere e affrontare le mie paure. Adesso mi sento pronto. Vado solo io”.

Così dopo aver camminato uno fianco all'altro mi lascia li da solo, a metà collina a contribuire nel mio minuscolo a sciogliere la neve con una breve lacrima per vederlo scendere, composto e saldo sul bob che usavo io alla sua età. Ci siamo divertiti insieme facendo un tratto di vita insieme. Adesso è arrivato il suo momento di andare da solo. Che sia anche una discesa con il bob. Ma è un primo passo.
Sono stati d'animo ai quali avevo già pensato, quel momento in cui si sarebbe staccato. Ma non avevo immaginato che la prima volta sarebbe stata per una discesa con il bob.
Se un filo d'aria non si fosse alzato a infastidire Anna seduta sopra la sua giacca stesa sulla neve con Teresa addormentata in braccio avrebbe continuato a godersi le discese solitarie.
Mi resta la consolazione, magrissima, di essere ancora con lui per portarlo in cima la collina o fino a dove decidiamo di partire. Lo accompagnerò fino a dove vorrà lui. È giusto così alla fine perché è cosi che deve andare.
Un po' come quando passa tutta la notte nel suo lettino: un po' sono contento perché si dorme più comodi e non prendo pedate sui reni o manate in faccia e un po' mi spiace perché è bello sentirlo respirare di fianco a me.

I bambini sanno essere pestiferi e portarti al limite della sopportazione. Ma prima o poi ci troveremo a ricordare quei momenti passati insieme e ci accorgeremo che ci mancano terribilmente sorprendendoci di come il tempo sia passato così in fretta. Godiamoci i nostri bambini e viviamo ogni momento con loro per aiutarli a crescere e per essere felice di averli vissuti. Non faremo sempre e per sempre parte della loro vita.

Presto troveremo qualche loro giocattolo in un posto che non avremmo mai detto e ricorderemo quando anni prima giocavamo con loro e sistemavamo i loro giochi la notte prima di andare a letto. Mentre loro saranno in giro con gli amici.
Accompagniamoli in cima la collina o fino a dove vogliono loro, stiamo insieme a loro lungo la salita, teniamogli la mano o trainiamoli quando non ce la fanno, insegniamoli a scendere, a divertirsi ad aver paura e ad affrontarla, a cadere e aiutiamoli a rialzarsi a fargli capire che noi siamo sempre con loro. Quando saranno pronti, scenderanno da soli. Magari chiedendocelo con dolcezza con quell'alito di voce di riconoscente colpevolezza. Dopo le farfalle nello stomaco il sentimento più sconvolgente sarà questo. Non so come si chiama. Per ora penso che anche un bob possa insegnarti qualcosa. Bravo tato Tommaso. 


“I will lead you to the doors of the adventure, then only you can open them to defy your fate” 
Thierry Sabine, creatore della Parigi-Dakar

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Effetto della domenica sera

Sarà l'effetto della domenica sera: non ho voglia domani mattina di svegliarmi di lasciare il caldo e la morbidezza del letto. Non credo nella fatalità, domani è il giorno comunemente e digitalmente noto come Blue Monday, anche perché la sua influenza è già iniziata, ma mi sento stanco, demotivato, un pelo intimorito da quello che mi aspetta. Cioè altre 8 ore, 5 giorni, una settimana di ufficio. 
Dove mi trovo ad affrontare quelle tradizionali rotture che deve affronta chi si occupa di una determinata attività che conosce solo lui all'interno dell'azienda ma che nonostante questo viene giudicato da persone che non ne sanno niente, al massimo dei sentito dire (per altro male oppure male interpretati). E, se devo dirla tutta in modo chiara e senza filtri, mi sono rotto le balle.
Del giudizio degli altri, del maleducato sottendere circa l'utilità di una persona e della sua attività, delle influenze su chi prende la decisione finale sulla vita degli altri. Mi sono stufato.
Sembra che tutti sappiano tutto su quello che devono fare gli altri, per loro è una minchiata che si può fare velocemente e semplicemente... e allora perché pagano me per farlo e non se lo fanno da soli o lo affidano a quel dipendente che pare saper tutto?
Non è la prima volta che succede e per colpa di questa situazione avanzo anche qualche mila euro (nessuna parodia, tutta realtà purtroppo).
Anna dice che ho una calamita nell'attrarre persone così ma non credo: purtroppo svolgo uno di quei nuovi ruoli che la rivoluzione digitale ha reso indispendabili in azienda e sono molto pochi quelli che ne conoscono l'attività.
Come funziona un sito? Come si gestisce un blog un social media? Perché non vendo una Madonna sul sito?
Così arrivo io e tutti mi dicono cosa fare: mettilo su internet è l'azione più richiesta quella più necessaria. Ma dove? Come? Perché? Va bene la prima volta, la seconda volta sorrido, la terza mi irrita, poi mi mordo la lingua, digrigno i denti finché non ce la faccio più e rispondo di metterselo... avrete capito.
Perché poi io sono anche fatto male: sono un veneto dei più classci, non metto in mostra quello che faccio perché è il mio lavoro e non ha nulla di eccezionale, con DNA montanaro, quindi ancora più tendente all'isolamento. Non sono quello che fa e va dal boss a dirgli quello che ha fatto o vantarmi di qualcosa che hanno fatto altri: a parti invertite risponderei "E non è quello che devi fare?" cosa che per altro ho detto a una giovane collega alla prima esperienza lavorativa, frantumandone l'entusiasmo.
Ma da qui ai prossimi giorni qualcuno dovrà decidere se potrò rimanere oppure no: è già insoddisfatto nel non vedere il mio lavoro online. Glielo ha fatto anche notare qualcuno che probabilmente ne sa un bancale più di me. Peccato però che, come più volte comunicato, quella cosa che vogliono vedere online non può essere online prima della fine del mese. Allora?
Poi succede che mi dicono che "non importa quello che fai, l'importante che tu faccia qualcosa, per dimostrare che stai facendo o hai fatto qualcosa". Cioè, chi ti paga è talmente ignorante in materia che per tenerti lo stipendio basta mostrargli che hai fatto qualcosa, non importa se è utile. Un video spacciato come tutorial per attrarre clienti? Con il cellulare. Non importa se la cosa è fatta male, falla!
Sono abituato in modo diverso. Voglio portare una vantaggio reale all'azienda e non apparente se non addirittura un danno. E per questo obiettivo è necessaria una analisi della situazione, di quello che c'è e di quello che serve e di quello che non serve, di cosa funziona bene e di quello che funziona male: in parole povere capire se si è in grado si svolgere quelle attività e cosa manca. Ci vuole calma e tempo mentre riscontro solo ansia e fretta.
Ipotizzando che tutto vada per il meglio, sarà davvero il meglio?
Oppure è meglio dedicarsi al giardinaggio?

 PS: suggerisco queste pagine che rappresetano molto bene la situazione:

http://www.alessandrosportelli.it/web-marketing-imprenditori-non-sanno/

http://www.alessandrosportelli.it/ecco-i-3-elementi-indispensabili-per-scegliere-un-agenzia-o-consulente-di-web-marketing/ 

http://www.digiovedi.it/la-miopia-dell-imprenditore-nel-web/?utm_source=condivisione&utm_medium=linkedin&utm_campaign=11_gennaio_2018&lipi=urn%3Ali%3Apage%3Ad_flagship3_pulse_read%3BlvJcMVX%2BQWKqHhwKI1UXmw%3D%3D

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Ringraziare il cielo

Mi sono ritrovato all'improvviso senza un motivo preciso a ripensare a quello che ho scritto nel post precedente e mi sono dato del mona.
La precarietà del lavoro negli ultimi due anni si è fatta sentire e non nascondo che abbiamo vissuto un periodo davvero difficile. Ma a casa c'era (e c'è) la tenerezza di Tommaso e Teresa - lo so che formano una combinazione esplosiva (TnT), se lo avessimo saputo prima almeno Teresa la avremmo chiamata Serena - ma nonostante i loro caprici la loro testardaggine più o meno consapevole non c'è cosa più dolce di vedermeli venire incontro ed abbracciarmi le gambe. C'è l'appoggio di Anna che non guarda alla salute e alla malattia, alla ricchezza (anche perché in questo caso c'è niente da vedere!) e povertà al bene e al male.
Tutto quello che trovo in casa mi fa star bene mi da sollievo da quello che c'è e non c'è fuori. Non sempre è primavera nemmeno qui ma sono le normali situazioni di famiglia.

Allora, cosa non andava in quello che ho scritto?

Perché guardando il casino seminato nel pavimento in sala e ascoltando il silenzio che lo riempie, dopo una giornata di voci bianche a db elevati, mi rendo conto che a me non manca qualcosa mentre a qualcun altro il 2017 ha portato via quasi tutto o non ha portato quello che aspettava.

Persone che hanno perso genitori che hanno terminato l'ultima parte della loro esistenza in una non vita, figli mai nati quando ormai mancava poco o figli persi dopo una vita straziante, persone che da anni lottano o convivono con un dolore invisibile, con una malattia maledetta o ne devono affrontare un'altra subito dopo averne sconfitta una, bambini divisi tra le incomprensioni dei genitori.

Ho avuto le mie sfighe ma sono pozzanghere lasciate da un temporale di passaggio al confronto dell'oceano di malessere fisico e psicologico vissuto dalle altre persone che non so cosa dovrebbero dire all'anno che se ne è andato. Di sbattersi bene la porta alle spalle e di buttare anche la chiave.

Guardiamo bene la realtà e le persone che abbiamo intorno.
Chiunque, prima di andare a dormire, dovrebbe dare uno sguardo al cielo, se c'è anche alla luna e ammirarne lo splendore. E ringraziare.

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