L'anno che verrà

Sono contento di leggere che più di qualcuno non incolpi il 2020 per questo 2020.E' da qualche giorno che ci penso e ho già letto altri pensieri simili.
La pandemia non l'ha portata il 2020, il 2020 non ha fatto schiantare l'elicottero in una nebbiosa domenica mattina e una malattia che si porta via un mito non è colpa del 2020.
 
Quest'anno doveva andare tutto bene invece mi sembra stia solo andando tutto a puttane. Non diamo la colpa al governo ladro o al 2020, ma incolpiamo solo noi stessi.
Un comportamento diverso forse avrebbe potuto davvero far andare tutto bene, una rinuncia una volta nella vita la può migliorare e pazienza se per un anno non si mette in mostra ogni singolo respiro che si sprecato durante le vacenze.
Potevamo imparare molte cose, invece di limitarci a copiare un hashtag come asini facendo nulla per dimostrare che davvero tutto andà bene.

Il 2020 non è stato l'anno che ci auguravamo nel 2019 (per alcuni invece sì, anche meglio) ma speravo riuscissimo a imparare qualcosa: il professore Mancini, professore di italiano delle medie, ci diceva sempre che bisogna imparare sempre qualcosa da qualsiasi situazione.
Invece abbiamo iniziato l'anno odiando i cinesi in Italia, poi i settentrionali in vacanza in meridione e poi a non vedere alcuna distinzione geografica, fanculandoci per semplice differenza di opinione o solo perché si era colpevoli di andare a correre, nel rispetto delle indicazioni per altro.
Abbiamo tanti mezzi di comunicazione a disposizione ma li abbiamo usati per insultarci invece che per chiederci un semplice "Come stai?".
Non è colpa dei social media, ma è colpa nostra perché non sappiamo usare le cose che abbiamo a disposizione.
In mezzo a un pandemia dalla quale si può guarire ma che rischia anche di uccidere, ho visto mettere l'aspetto economico davanti alla salute, ho sentito persone più spaventate di dover chiudere temporaneamente l'attività che di ammalarsi.
Nemmeno il vaccino ha portato un po' di calma anzi, è stato un altro motivo per assurdi litigi digitali. 
Spero nel frattempo che le big pharma stiano sviluppando un vaccino contro l'imbecillità, ma dubito che ci possano essere dosi a sufficienza e che l'effetto sia perenne.

Alcune cose della vita sono ineluttabili purtroppo e sono sempre più convinto che siamo il risultato delle nostre scelte e quello che ci succede dipende solo da noi stessi.
Poi ci sono anche le altre persone che influenzano la nostra vita, personale e professionale, ma almeno noi ci dobbiamo impegnare per migliorarci e dare anche un buon esempio agli altri, stimolare chi è vicino, parenti amici e colleghi. 
Oppure prendere d'esempio chi cerca di sistemare le cose perché il buon esempio di una persona, la sua forza d'animo, può essere lo stimolo per le altre persone.
Compreso io, ben inteso, per alcune cose!
 
Kobe Bryant doveva morire per far conoscere ai molti che non sapevano nemmeno chi fosse cos'è la Mamba Mentality, un atteggiamento vincente di chi vuole essere il numero 1, il migliore e che si può riassumere nella parola impegno. Un impegno incredibile, che richiede la massima concentrazione e dedizione.
Però ci vogliono due palle così per impegnarsi, la Mamba Mentality non è per tutti e se ci sono i numeri 1 è anche grazie ai numeri 2, 3, 4 e a tutti gli altri.
 
Speravo di veder spuntare qualche diamante da tutto questo letame e invece è rimasto tale. 
Potevamo imparare tante cose, scoprire la bellezza che ama nascondersi o quella delle piccole cose, che è troppo facile vederla in un tramonto o in un paesaggio ricoperto di neve mentre è più difficile ammirare un'alba o il fascino della luce di una notte di luna piena riflessa dalla neve.
Vogliamo essere felici senza fare fatica e anche a discapito degli altri, senza impegnarci un po' per scoprire le cose tanto meno a capirle, vogliamo vincere facile magari spendendo un po' di più, non solo in senso economico.
 
Una cosa sola mi spiace di quest'anno: ci ha portato via la socialità e la convivialità. Uno dei miei miglior difetti (o peggior pregi, ancora non lo so) è quello di riuscire a stare bene da solo. E per un po' questa situazione inedita neanche mi spiaceva.
Poi ho scoperto il saluto senza una stretta di mano, di un complimento senza abbraccio, un augurio senza un bacio sulla guancia (eh mica si deve limonare!), un brindisi senza tintinnio. 
Un gomito non è la stessa cosa, mi sono accorto che vedersi in tanti davanti a uno schermo porta imbarazzo anche tra persone che di solito devono sforzarsi di stare zitte invece di parlare.
Mi è mancato non vedere gli amici, non avere persone che girano in casa o andare in quella degli altri.
Ricordo la prima sera che sono uscito in mountainbike con Olo, Giuda e Infe: sembravamo fuorilegge con le mascherine ma è stata una sensazione di assurda libertà dopo più di due mesi di isolamento.

Per me l'ultimo dell'anno ha perso ogni senso già da un po' perché oggi non finise nulla, è solo un giorno buono per stare svegli qualche ora in più (come se non andassi già a letto abbastanza tardi tutti gli altri 364 giorni), mangiare qualcosa di diverso e scoppiare i petardi.
Non c'è alcuna fine, la mattina dell'1 gennaio è come quella del giorno prima, a meno che non siamo noi disposti a fare qualcosa, oltre a cambiare il calendario.
Ed è questo l'unico augurio che mi viene in mente, ma senza molta fiducia.

Parto da Kobe Bryant e finisco con un personaggio completamente diverso ma molto significativo: Pasquale Amitrano che esce dalla cabina elettorale. 



Read Users' Comments (0)

Paolo Rossi uno di noi

Posso immaginarmi Paolo Rossi che entra in Paradiso, chiedendo permesso con quel suo sorriso gentile.

Mio nonno Sandro impegnato in una briscola con mio nonno Mario, lo zio Erico e Vasco Casetto, lo vede e si sorprende: "Orcamadò, cosa sè che te fè sà qua?" mollando un bel giro di carte sul tavolo.

 

E lui sempre gentile potrebbe anche rispondere che è salito a salutare gli amici Sandro, Enzo, Gaetano, Enresto, Giulio e Giancarlo. E magari si ferma perché la squadra così non è  niente male, con tre stranieri come Diego, George e Johan c'è anche sa divertirsi.


A Vicenza ha giocato solo 3 stagioni e più di qualcuno pensa che sia nato a Vicenza. Dopo quei 3 anni un po' vicentino lo è diventato, nel suo cuore è vicentino, parte della sua famiglia è di Vicenza. Da febbraio lo è in senso formale, perché ha ricevuto la cittadinanza onoraria. Tanto è l'affetto dei vicentini per Pablito che la moglie Federica ha voluto celebrare l'ultimo saluto nella sua seconda casa.

Pur avendo indossato la maglia biancorossa del Lanerossi per 3 stagioni, è diventato una persona importante.

Quello che mi fa un po' sorridere è che Paolorossi, esatto tutto attaccato come fosse un nome unico, per noi vicentini era diventato una persona più importante del vescovo e dei preti di parrocchia.  

Per una città di basa banchi qual è Vicenza, mi sembra una cosa notevole! Quasi come fare 3 gol al Brasile ai mondiali.

 

Mi restano i ricordi dei racconti di mio nonno Sandro e dei miei genitori. Di un calcio che avrà avuto i suoi scheletri negli armadi, ma che era possibile e godibile anche con quei toni calmi ed educati, senza troppe grida e muscoli, al contrario di quello di oggi fatto di eccessi e tatuaggi, che arriva tramite telecronache dove il telecronista vuole il suo ruolo di protagonista al pari dei 22 in campo. 


Noi vicentini lo ricordiamo con grande affetto e per noi sarà Paolorossi del Lanerossi Vicenza di Giussy Farina e GB Fabbri.
Ma anche se ha giocato con altre squadre, per tutti quanti sarà ricordato col colore azzurro della Nazionale. Ed è giusto così.

.


 Ph. Credits: Facebook/Trivenetogoal

Read Users' Comments (0)