Bandiere, libertà e Costituzione al Giro d'Italia
Si devono vivere certe cose per capirle e provare certe emozioni. Perché quando ne vieni a conoscenza in modo indiretto tramite i mezzi di informazione o perché te le raccontano, non puoi provare le stesse cose di chi le ha vissute. Per quanto tu possa essere la persona più empatica del mondo, non potrai mai sapere cosa significa quello che hanno vissuto le altre persone.
Ieri ho potuto vivere una di quelle situazioni che di solito mi raccontano o che leggo sui giornali che mi fanno rimanere con tante domande e sospeso tra stati d'animo diversi e contrastanti.
Ieri a Vicenza c'è stato l'arrivo di una tappa del Giro d'Italia. Uno di quegli eventi che coinvolgono e stravolgono le città dove passa la carovana rosa, soprattutto se in quella città in non c'è un cazzo da fare (che storia eh!? Argomento che ho già trattato più volte e che mi farà ritornarci sopra perché merita. Mestamente!).
Il territorio vicentino è così vario che sui Colli Berici comprende anche dei tratti in salita davvero tosti così sono andato a vedere il passaggio a S. Giovanni Monte, sopra il comune di Barbarano Mossano.
Mi sono messo d'accordo con Infe, il mio compagno di concerti e uno della banda dei Cinghiali Notturni, gli amici con i quali esco in giri notturni in mountainbike. Trovarsi lungo la Riviera Berica vuota e senza macchine è stato molto strano e bello. Da qui siamo saliti lungo la strada di San Rocco tra una chiacchiera e una madosca per certi tratti che hanno richiesto uno sforzo alto e un rapporto basso.
Tagliando per un sentiero infangato grazie all'intransigenza di un anziano addetto al controllo passaggi abusivi, lungo un tratturo che si immetteva nella strada principale (che però si poteva percorrere se arrivavi da un'altra parte!), siamo arrivati al GPM di San Giovanni in Monte (4a cat., 5 km al 6,6%) piazzandoci poco dopo, su un tratto lievemente in salita dove potevamo vedere bene i ciclisti.
Mentre eravamo in attesa del passaggio e cercando di capire quanto potesse mancare, essendo in una zona dove il segnale del telefono non riusciva a raggiungerci, io e Infe stavamo facendo passare il tempo con profondi ragionamenti sul più e sul meno quando a un certo punto si è fermata un'auto a qualche metro da noi. Mentre scendeva un signore tarchiatello con il distintivo della Polizia ho pensato che ci avrebbe chiesto di spostarci ulteriormente e di non stare troppo sul ciglio della strada, visto anche che le auto al seguito dei ciclisti ci avevano quasi fatto il filo.
In effetti aveva una richiesta ma non era per entrambi ed è stato molto diversa da quella che mi aspettavo: "Può farmi vedere un documento?" ha detto a metà strada tra un ordine e una domanda rivolgendosi a Infe che evidentemente, capendo la situazione in leggero anticipo rispetto a me, cercando la sua carta di identità con gentilezza ha chiesto: "C'è qualcosa che non va?". Il tempo molto breve a realizzare cosa stava succedendo e sono sbottato, pur se in modo educato.
"C'è bisogno di chiedere e fotografare un documento? Non mi sembra stia facendo qualcosa di male, anzi!" ho esclamata incredulo, vivendo una di quelle situazioni che ho sempre letto o sentito raccontare.
"No niente, infatti, è solo una richiesta" ha risposto il solerte agente in borghese.
"Mi scusi posso sapere in forza di quale qualifica ha fatto questa richiesta?" ho chiesto con la pressione sanguigna in salita.
Pensando valesse come una risposta, l'agente mi ha mostrato il distintivo agganciato ai passanti dei suoi jeans.
"Lo so, avevo visto. Quale è il suo grado?" ho chiesto mantenendo la calma e l'educazione che i miei genitori mi hanno insegnato.
"Io sono il responsabile della sicurezza della Polizia. Lavoro per il vostro bene" ha risposto in modo fermo ma arrogante il responsabile della Polizia che lavora per il nostro bene, senza però rispondere alla mia domanda dirigendosi verso l'auto senza neanche salutarci.
L'agente si è rivolto a Infe, il "colpevole" era lui non io ma per tutta la durata della scena e anche successivamente quell'agente mi ha lasciato un profondo senso di avvilimento e di rabbia. Per la sua arroganza, la sua freddezza, per aver abusato della sua superiorità nei confronti di chi non può rispondere con la stessa misura. Mi sono sentito schiacciato.
Se viviamo in un paese che riconosce tra i suoi principi fondamentali quello di essere una Repubblica democratica, che ripudia la guerra, che riconosce a tutti il "diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione", che bisogno c'era bisogno di chiedere i documenti a Infe solo perché aveva in mano la bandiera della Palestina? Avesse avuto quella di Israele si sarebbe fermato?
No, la mia sicurezza non si è sentita per niente tutelata da quella persona anzi, è stata schiacciata. Mi sono sentito oppresso e anche spaventato. I miei diritti non sono stati riconosciuti. Ma mi sembra sempre più evidente come la nostra Costituzione non sia rispettata nemmeno dalle istituzioni che invece devono rispettarla e devono lavorare secondo i suoi principi fondamentali.
Il fatto che Infe non sia stato l'unico a essere identificato per lo stesso motivo da un esponente delle forze dell'ordine (quale ordine?) mi preoccupa ancora di più.
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