L'Europa che vorrei

Ero un bambino quando vidi, attaccato alla porta d'ingresso della scuola elementare che frequentavo nel mio piccolo quartiere di periferia di una piccola e bigotta città di provincia, il primo manifesto sull'Europa unita. Era la metà degli anni '80 del secolo scorso e non avevo la più pallida idea di quello che c'era scritto. Sapevo della CEE ascoltando i grandi attorno ai tavoli e quelli che ne sanno dentro la televisione. A quel tempo non facevo ancora caso alle parole, al significato di ogni singola parola. Capivo che era una unione degli stati europei, o che almeno si inseguiva questa intenzione, perché un'area geografica unita con confini ben separati mi sembrava tutt'altro che unita. Ma ero un bambino scemo e non capivo una cippa e in quanto tale mi facevo solo un sacco. 
Però c'era quella parola in quella sigla: 'economica'. La maestra, fino alla quarta elementare la mezza hippy Franca poi la sindacalista Roberta, ci spiegava che prima o poi saremmo arrivati ad avere un sotto specie di Stati Uniti d'Europa ma senza approfondire troppo.
Io però di questa cosa non capivo perché si desse così tanto peso al termine 'economica' e non a quell'altro, 'Comunità', perché credevo che l'unione non fosse solo di Stati, ma di persone. In fin dei conti, dentro i vari stati ci sono milioni di persone con gli stessi bisogni essenziali da proteggere e soddisfare. Le cose in comune di una comunità. Invece quella che ci veniva presentata era una unione economica, cioè dove la cosa principale sono i soldi. Boh vabbhé avevo cose più importanti a cui pensare a quel tempo, mica potevo perdermi una puntata di Holly e Benji o di Lupin per star dietro a quelle faccende da grandi. 

Passa il tempo e il professor Mancini, dalla seconda alla terza media ci ha una testa così sull'UE, l'Unione Europea. Ma aspetta un attimo, è la stessa CEE del decennio precedente? Dov'è finita la parte economica? 
Il professore di italiano storia e geografia, che voleva sapessimo tutto perché sono materie collegate tra loro e che mai smetterò di ringraziare anche per questo, ci dice che il futuro, che l'UE, la faremo noi, coi nostri voti, coi nostri comportamenti. 

Sono passati 30 anni (porc'!) da all'ora. Non so quanto abbiamo contribuito a fare l'UE in tutto questo tempo. Ma adesso che mi è spuntato più di un pelo bianco tra le basette, ho capito che il peso di 'Comunità' è infimo rispetto a quello di 'Economica', anche se entrambi sono spariti in favore di 'Unione'. Una unione che è solo una sigla, per scopiazzare quella ben più solida di quella americana, una sigla per farci credere di vivere tutti in un unico territorio mentre invece siamo dentro i nostri Paesi, spaccati a loro volta per altro (vallo dire a un basco, a un catalano, ma credo anche a un calabrese e un trentino). 
Una unione che, nonostante non ci sia più nel nome, pensa prevalentemente all'aspetto economico e non a quello umano. Come se soldi, bilanci, finanza e tutto quello che ci è collegato fosse di fondamentale importanza per vivere bene. Per chi se ne occupa, senza dubbio. Perché purtroppo, chi ha governato e governa l'Europa (la chiamo così, senza Unione) se ne occupa e anche molto.
Ogni nazione deve fare attenzione al proprio bilancio e al rapporto deficit/PIL. Sono due valori economici a rapporto l'uno con l'altro. 
Altri indicatori non ce ne sono. Non si considera la qualità della vita, l'aspettativa di vita, i ritmi di vita/lavoro. In una sola parola: vita!

Non credo che il rapporto deficit/PIL interessi molto all'agricoltore di olive in Puglia, dove la vita delle sue coltivazioni è messa pure in pericolo da un batterio, allo studente universitario fuori sede, all'impiegata in una azienda o al padre separato. 
Credo invece che loro abbiano bisogno di sicurezze diverse che al momento non sono contemplate da questa Europa e che un indice economico non possa assicurare.

Due settimane fa ci sono state le elezioni europee per eleggere il nuovo Parlamento. Qui in Italia la campagna elettorale nemmeno si è vista, tanto le liste erano bloccata da nomi decisi dalle sedi centrali dei partiti. Ancora devo sapere cosa abbia combinato di serio nell'ultimo mandato l'eurodeputata Moretti, per esempio. Ha lavorato per aiutare i cittadini o qualche azienda che ha finanziato la sua precedente campagna elettorale?
Hanno battuto il ferro sulla partecipazione, sull'affluenza, perché mai come quest'anno si sarebbe deciso il futuro dell'Europa. Strano, pensavo che non fossimo noi elettori a decidere le sorti di una città, men che meno di un Paese, figuriamoci di un Continente! E comunque non hanno detto nulla di nuovo riguardo l'affluenza ma sempre la solita cosa, detta in modo e tono diverso.
Alla fine sono andato a votare e sono contento che chi ho votato abbia ottenuto un buon risultato, purché poi possa e voglia realizzare le sue intenzioni in questa euro legislatura.
Quando le persone esprimono un certo tipo di voto, oppure proprio non lo esprimono, è una reazione a una situazione che ha qualche problema e nemmeno questa si può risolvere con un rapporto di valori economici. Anzi, la aggrava!

Che Europa verrà fuori da questo ultimo giro di voti non lo so. A me sembra che si stia andando dalla parte opposta di dove si dovrebbe andare, ovunque. In qualsiasi tema trattato. Situazioni più complicate, più gravi. 
Sembriamo il bambino vivace che viene sempre sgridato violentemente dai genitori, o dalla maestra, con il risultato di renderlo ancora più agitato. Dopo tanti anni forse sarebbe il caso di prendere in considerazione di cambiare strategia?
Cosa mi piacere vedere nella prossima Europa?
A me piacerebbe vedere la parola NEUTRALITÀ. Una Europa neutrale, senza armi né esercito, libera dalle basi USA e Nato nel suo territorio. E mi piacerebbe vedere anche una politica sociale omogenea tra stati, per quanto possibile, eliminando le differenze di trattamento per gli aiuti alle famiglie tra i vari stati dell'UE.
E se vogliamo tanto restare in ambito economico, allora aggiungo anche una politica finanziaria e industriale per riportare la produzione in Europa. Le c.d. delocalizzazioni di inizio secolo ha impoverito le famiglie europee e arricchito governi orientali, con tanto di incentivi per altro.
L'Italia nel '900 aveva capacità produttive eccezionali che tutti ci invidiavano, ma le generazioni successive, già accontentate e più incapaci di quelle dei padri e dei nonni, hanno mandato tutto in mona. Basta vedere quante aziende italiane sono fallite o salvate da capitali esteri, tra società o fondi. 
Ci siamo fatti male con le nostre mani e menti geniali. Riportiamo l'industria europea a quella che era una volta. Come, lo devono decidere chi viene eletto e pagato dal popolo, perché è lì per fare quello. Allora sì ci sarà una nuova distribuzione di ricchezza. Se è questo quello che si vuole, se si vuole davvero dare più soldi a un maggior numero di persone per creare un circolo virtuoso.
Ma deve essere una produzione controllata, sensata, non esagerata e in eccesso.
Purtroppo però, come ho scritto sopra, stiamo andando dalla parte opposta di dove si dovrebbe andare, ovunque. Prima o poi succederà qualcosa che cambierà la situazione. Spero non sia qualcosa da temere.



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