Bullismo e debolezza
Eccone un altro. Studente che ha preferito darci un taglio piuttosto deciso. Perché era arrivato al livello di saturazione e non riusciva più a sopportare gli altri. Che lo sfottono perché è in un certo. O perché sono gli altri ad essere stupidi ed ignoranti. Così la cosa migliore da fare, quella che rimane da fare, è buttarsi giù dalla finestra perché fuori dalla classe avrebbe rivisto quei personaggi disgustosi.
In quella scuola, dall'inizio dell'anno scolastico, è la seconda volta che succede. Forse se ne dovrebbe parlare, tutti insieme: preside, insegnanti ed alunni.
Mi ricordo - e come non potrei - che nei primi due anni di ragioneria c'era qualche compagno di classe idiota che si divertiva a deridermi: non ne ho mai capito il motivo.
Ero diametralmente l'opposto del 'piùquellodibellochevolete' della classe, non mi andava (e non mi va) di dover apparire sempre per forza a tutti i costi come gli altri, anche se aprivano bocca solo per dire cose dal dubbio senso.
Non ho mai capito e mai capirò le prese i giro. Le trovo ignobili. Che gusto si trova a tormentare la gente così? E meno ancora capivo chi mi conosceva da tempo e che invece di difendermi si metteva dall'altra, con chi aveva appena conosciuto. Che cosa c'è di divertente? Sono queste le soddisfazioni? Lasciavo stare, lasciavo che si accontentasse così, se tanto ci trovava gusto. Penso che siano più sfigati quelli che rompono i coglioni in questi modi penosi e patetici che le loro vittime. Mi sono preso qualche piccola vendetta durante le lezioni di educazione fisica con sgambetti oppure 'involontarie' scarpate sugli stinchi se giocavamo a calcetto. Fino a una volta che l'altro ha rischiato di farsi male davvero. Poi la scuola ci ha separati, io segato e gli altri avanti, salvo poi venire segati (ancora) a loro volta.
Succede così: niente fila liscio come un pacifico fiume di pianura e prima o poi la vita si trasforma in un agitato torrente di montagna. E' questione di tempo e bisogna solo aspettare.
Ma qualcuno non ce la fa. Non si sa perché. Forse io davo sfogo alla mia rabbia con il calcio. O forse ho uno spirito profondamente zen.
Anche mio papà e mio nonno materno mi hanno raccontato alcuni episodi del genere della loro gioventù: ai loro bellissimi tempi questi episodi non avevano un etichetta. Succedevano e basta. E nessuno si lanciava dalle finestre di scuola o sotto i treni o si tagliava parti del corpo in modo letale. No, tutto si risolveva in una sonora scazzottata e la mattina dopo ci si vedeva a scuola (o per strada) con il viso più gonfio e morta li. Fino al giro successivo.
Una volta, durante la ricreazione di uno dei miei primi giorni di scuola media, mi sono sentito aggredito alle spalle da un altro ragazzo. Mi è saltato addosso da non so dove. Non sapevo chi fosse né cosa cazzo volesse. Ho solo pensato di togliermelo dal groppone scagliandolo per terra come se mi togliessi un sacco di farina.
Dopo, mi hanno detto che era un temibile ragazzo del quartiere, disgraziato figlio di buona donna di padre ignoto (che anni dopo rividi nelle pagine di nera del quotidiano locale per spaccio). Da quel giorno si è sempre tenuto almeno un metro da me. D'accordo non è stato un gesto consapevole, non sapevo fosse lui ma da quella volta ho avuto il suo rispetto (e forse anche timore) per avergli risposto così.
Forse i ragazzi di oggi sono cresciuti sotto una eccessiva protezione, poco esposti al pericolo e non riescono a vivere le difficoltà. Non lo so, sparo solo boiate.
Però arrivare al punto di preferire di togliersi la vita piuttosto che subire prese in giro mi sembra troppo.
In quella scuola, dall'inizio dell'anno scolastico, è la seconda volta che succede. Forse se ne dovrebbe parlare, tutti insieme: preside, insegnanti ed alunni.
Mi ricordo - e come non potrei - che nei primi due anni di ragioneria c'era qualche compagno di classe idiota che si divertiva a deridermi: non ne ho mai capito il motivo.
Ero diametralmente l'opposto del 'piùquellodibellochevolete' della classe, non mi andava (e non mi va) di dover apparire sempre per forza a tutti i costi come gli altri, anche se aprivano bocca solo per dire cose dal dubbio senso.
Non ho mai capito e mai capirò le prese i giro. Le trovo ignobili. Che gusto si trova a tormentare la gente così? E meno ancora capivo chi mi conosceva da tempo e che invece di difendermi si metteva dall'altra, con chi aveva appena conosciuto. Che cosa c'è di divertente? Sono queste le soddisfazioni? Lasciavo stare, lasciavo che si accontentasse così, se tanto ci trovava gusto. Penso che siano più sfigati quelli che rompono i coglioni in questi modi penosi e patetici che le loro vittime. Mi sono preso qualche piccola vendetta durante le lezioni di educazione fisica con sgambetti oppure 'involontarie' scarpate sugli stinchi se giocavamo a calcetto. Fino a una volta che l'altro ha rischiato di farsi male davvero. Poi la scuola ci ha separati, io segato e gli altri avanti, salvo poi venire segati (ancora) a loro volta.
Succede così: niente fila liscio come un pacifico fiume di pianura e prima o poi la vita si trasforma in un agitato torrente di montagna. E' questione di tempo e bisogna solo aspettare.
Ma qualcuno non ce la fa. Non si sa perché. Forse io davo sfogo alla mia rabbia con il calcio. O forse ho uno spirito profondamente zen.
Anche mio papà e mio nonno materno mi hanno raccontato alcuni episodi del genere della loro gioventù: ai loro bellissimi tempi questi episodi non avevano un etichetta. Succedevano e basta. E nessuno si lanciava dalle finestre di scuola o sotto i treni o si tagliava parti del corpo in modo letale. No, tutto si risolveva in una sonora scazzottata e la mattina dopo ci si vedeva a scuola (o per strada) con il viso più gonfio e morta li. Fino al giro successivo.
Una volta, durante la ricreazione di uno dei miei primi giorni di scuola media, mi sono sentito aggredito alle spalle da un altro ragazzo. Mi è saltato addosso da non so dove. Non sapevo chi fosse né cosa cazzo volesse. Ho solo pensato di togliermelo dal groppone scagliandolo per terra come se mi togliessi un sacco di farina.
Dopo, mi hanno detto che era un temibile ragazzo del quartiere, disgraziato figlio di buona donna di padre ignoto (che anni dopo rividi nelle pagine di nera del quotidiano locale per spaccio). Da quel giorno si è sempre tenuto almeno un metro da me. D'accordo non è stato un gesto consapevole, non sapevo fosse lui ma da quella volta ho avuto il suo rispetto (e forse anche timore) per avergli risposto così.
Forse i ragazzi di oggi sono cresciuti sotto una eccessiva protezione, poco esposti al pericolo e non riescono a vivere le difficoltà. Non lo so, sparo solo boiate.
Però arrivare al punto di preferire di togliersi la vita piuttosto che subire prese in giro mi sembra troppo.
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