Lettere d'arresa

Prima Michele.
Poi Luca.
Due lettere di rabbia rassegnazione e disillusione. Sullo stesso tema: il lavoro.
Il primo purtroppo non ce l'ha (più) fatta e ha deciso di uccidersi. O forse, ormai era stato consumato da questa realtà alla quale era stanco di appartenere, della quale non voleva più farne parte. 
Il secondo invece no, lui c'è ancora e descrive con cruda lucidità com'è questa realtà. Ma è come un fantasma, c'è ma non si vede non fa nulla perché ormai si è arreso.
Si è sbattuto tra selezionatori che nella vita decidono quella degli altri o in professioni con prospettive che rimangono tali o che ti spremono fino all'ultima goccia di tolleranza e poi ti sostituiscono con altra carne, portandoti a una crisi personale e all'auto distruzione della propria stima.
C'è chi resiste chi si adatta come c'è chi invece trova l'ambiente giusto o, forse, è la persona giusta per quel lavoro e/o quell'ambiente.
Non voglio né tanto meno posso arrogarmi la capacità di giudicare i due ragazzi perché non conosco loro e le loro situazioni che hanno provocato queste reazioni. Sono, o erano, giovani, eppure con idee e valori chiari frantumati da questa realtà. Questa sì però che posso giudicarla.

La dichiarazione del ministro del lavoro Poletti sui giovani (ma anche meno giovani) in fuga dall'Italia mi hanno fatto pensare a una cosa: che forse, la politica del lavoro degli ultimi anni aveva uno scopo ben preciso e cioè quello di abbattere (credo sia la parola più giusta) la forza lavoro indigena, a tutto vantaggio di una straniera / extracomunitaria più propensa ad alcune logiche.
Risolvere il problema eliminando il problema e cioè i lavoratori. Non importa in che modo, se espatriano o se si ammazzano. L'importante che si levino dalle scatole, per avere un problema in meno, meno riunioni di commissioni parlamentari e meno leggi sulle quali perdere tempo.

Così come le aziende: a fine anni '90, hanno ricevuto contributi per cessare la produzione in Italia e trasferirla all'estero, prima in Europa dell'Est e poi ancora più in la, in estremo oriente, dove il costo del lavoro è direttamente proporzionale alla distanza.
E' assurdo vedere come chi governa un Paese adotta politiche contrarie al suo sviluppo e quelle della sua popolazione, incapace di aprire gli occhi: è più facile che lo Stato (ormai non più sociale) spenda soldi per mandare all'estero le aziende che riesca a trovare una soluzione per ridurre le tasse sul lavoro e permettere alle sue persone di vivere in casa propria.
Con risultati devastanti! A breve termine l'Italia si è impoverita, economicamente ma anche culturalmente, sono svanite tradizioni e lavori di una volta come quelli artigianali, come l'orafo il tessile e la ceramica dove il Paese eccelleva.
A medio/lungo termine le nazioni dove è stata trasferita la produzione si sono arricchite, che non significa sono diventate ricche e avere tanti soldi, ma di certo stanno meglio di prima e di noi.
Poi si sprecano parole e si paga gente che vada in televisione a discutere sul perché l'Italia non è un Paese competitivo. Non servono tanti talk show e seminari per capirlo.
E nel frattempo, le aziende estere si prendono quelle Italiane, da quelle più grandi più o meno (pseudo) importanti, a quelle più piccole ma con grandi capacità e competenze (i nomi non li faccio, sarebbe pubblicità gratuita che non mi va di fare e in fondo si conoscono già).

In altri paesi, le aziende hanno politiche davvero sociali a favore del proprio dipendente. Quelle italiane a favore della sua estinzione.
All'incapacità del governo, anche locale, si affianca quella delle nuove generazioni di imprenditori che non hanno le stesse capacità di quelle precedenti e alcune hanno una forte reticenza a innovarsi, soprattutto nella propria organizzazione, necessità che consente all'azienda - a quindi ai suoi dipendenti - di vivere.
Le mamme devono decidere se crescere i propri figli o educarli fingendo che tutto sia bello nascondendo la guerra dalla quale è stata costretta a ritirarsi.
Nemmeno gli amici in fondo, come ha scritto Michele, cercano di stare dalla tua parte. Ma come ho già scritto, avere santi in paradiso o conoscere i culi seduti nei posti giusti è più che utile.

Vista la situazione, non ha tutti i torti chi decide di togliere il disturbo.
Ma non è nemmeno giusto lasciare il campo senza averci provato senza aver assaporato il gusto di una rivincita o il piacere di dire 'no' a nostra volta all'ennesima proposta fasulla e sfruttatriceA tutto  c'è un limite e concedersi troppo agli altri non è corretto, perché si deve avere rispetto di se stessi. 
E allora si potranno aprire nuove porte o prendere strade che non si erano ancora prese in considerazione o evitate. Le cose sconosciute o in salita fanno paura, l'incognita la fatica non sono per tutti.

https://it.wikipedia.org/wiki/L'urlo#/media/File:The_Scream.jpg

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