Coglioni e privilegiati tra caccia bombardieri ed asili nido

So che scrivo spesso (solo?) di politica e che rischio di essere noioso e banale. Ma nel giro di pochi minuti ho letto tre cose che mi hanno fatto girare le balle.

Stamattina ho letto che il nostro governo ha già speso la bellezza di 3,5 miliardi di euro per una portaerei.
Lo ha detto il ministro alla Difesa Mario Mauro alle commissioni Difesa, Esteri e Politiche europee del Senato.
Così si sgonfia di botto la polemica sull’acquisto degli F35: se abbiamo una portaerei pronta a far viaggiare i caccia, come possiamo non acquistarli (sì, noi, seconda persona plurale. Perché da dove dovrebbero arrivare i soldi per 90 pezzi  di F35? Per cosa paghiamo le tasse oltre per garantire uno stipendio a chi decide di acquistare questi indispensabili giocattoli?)? È come comprare un barbecue e non metterci mai una volta una braciola con una fetta di polenta!
La  barca c’è. Tocca per forza metterci su qualcosa. Mica si può convertire in una Love Boat!
Poi non capisco perché la UE ci dice che non possiamo spendere soldi, ma per la difesa invece ne abbiamo da buttare fuori dalla finestra... Non mi tornano i conti in fatto di coerenza! O forse io sono troppo piccolo e mona per capire certe cose.
3,5 miliardi di euro. "Gnanca schei" si dice dalle mie parti. Buttati la. E noi che – addirittura – perdiamo tempo su Facebook a protestare contro qualcosa che è già stato deciso da tempo.
Che coglioni che siamo.

Uno lavora e si smazza per 40 anni per andare in pensione coi capelli bianchi e più di qualche acciacco e meritarsi una bella pensione netta di 1200 euro al mese quando va di lusso.
Un’altra si mette al servizio dei cittadini per 15 anni e ha il porco diritto di andare in pensione ad appena 50 anni con un assegno netto di 3700 euro col coraggio di dichiarare di essere stata rovinata dalla politica e sputtanando tutto e tutti con un libro. Mica è stata obbligata da qualcuno ad entrare in politica che, dice lei, l’ha resa vittima (al prezzo di tremilasettecentoeuronettialmese).
Che lo vada a dire ad un pensionato di oggi. 40 anni contro 15.

Poi c’è chi si lamenta e basta. Perché il Paese per il quale paga le (abbondanti) tasse non prevede un piano che permetta alle mamme di rimanere a casa dal lavoro nei primi anni di vita del figlio, magari in alternanza coi papà. I soliti pidocchiosi, che una volta ogni 5 anni (circa) però diventano elettori ai quali mettersi al servizio (per la campagna elettorale, poi tornano a essere pidocchiosi).
Nei paesi nordici le tasse sono molto elevate, ma in cambio hanno qualcosa. Per esempio un posto all'asilo nido per ogni bambino. O comodissimi asili nido aziendali. 

Intanto noi paghiamo le tasse per garantire l’acquisto di una nave porta aerei, i 90 bombardieri (se l’Italia ripudia la guerra, a cosa servono?) di relativo addobbo ed i privilegi ai politici che prendono queste decisioni.
Poi per tagliare le tasse ne aumentano altre perché non sanno che spese tagliare.
Val la pena? O continuiamo a essere coglioni?

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Sport, doping e soldi

Nella mia pagina di feisbuch ho pubblicato il link di un articolo del Corriere.it sulla non remota eventualità che Pantani fosse zeppo di sostanze dopanti al Tour de France del '98, quello che il Pirata ha vinto sulle montagne e quindi su quella possibile di ritirargli il titolo post mortem.
E' nata una accesa discussione tra chi è favorevole e chi invece vuole togliere il velo di ipocrisia da questo argomento piuttosto scomodo ma che mi ha fatto riflettere su argomenti che da sportivo, seppur dilettante (o soprattutto?), mi stanno a cuore.
Entrambe le fazioni parlano di imbroglio: da una parte c'è, dall'altra no.
Visto che non ho una mezza cippa di voglia di riprendere l'argomento, divento autoreferenziale e copio e incollo di seguito il mio pensiero sull'argomento.

"più che altro dobbiamo stabilire chi imbroglia chi. perché se tutti si sparano in vena qualcosa, tra di loro non c'è alcun imbroglio, anzi, sono la regolarità.
allora è il pubblico e cioè noi che viene imbrogliato. perché in fondo siamo noi che ci vog
liamo far imbrogliare e guardiamo le gare alla tivù e compriamo la gazzetta o la commentiamo al bar in pausa pranzo o all'ora dell'aperitivo. perché in fondo con una incosapevolezza latente sappiamo che non sono tutti normali. per questo ci siamo incollati alle tv a vedere scalare Bugno e Pantani davanti a Indurain e Ulrich. Per questo per qualcuno loro due sono dei miti. O degli idoli delle folle.
da sportivo seppur dilettante l'allenamento non è doping ma preparazione ad uno sforzo fisico.
chi fa le analisi dovrebbe avere una base diversa: ovvero che il fisico di ognuno reagisce in modo diverso agli sforzi fisici. Pantani e Ulrich avevano due fisici completamente diversi. ma se si è posto un limite per stabilire la normalità di certi valori forse i medici, che ne dovrebbero sapere (almeno si spera sia così!), avevano le loro ragioni.
in tutta questa storia, l'unica cosa che trovo ridicola e che mi prende in giro, a mio modesto avviso, è il processo retroattivo - mediatico e sportivo - che si sta facendo al ciclismo. l'atletica ha appena eliminato due campioni del momento. il ciclismo sta punendo atleti che non si possono più difendere (per quanto possano essere indifendibili).
per poi come ripartire? l'intenzione è quella di ripulire l'immagine di uno sport che rischia di perdere soldi da sponsor e diritti tv? intanto, non appena Froome vince una tappa di montagna lo si taccia di assunzione di sostanze dopanti. forse lo scopriranno tra altri dieci anni.
"


"a mio modestissmo avviso, la differenza tra uno sportivo dilettante ed uno professionista la fa passione. se sei sportivo solo per passione sei un dilettante. se lo fai per soldi no. è come la differenza che c'è in Inghilterra nel rugby, tra Rugby Union (ama) e Rugby League (pro). per questo mi fa ridere il calcio dilettantistico vicentino (perché conosco questo, ma immagino che da altre parti non sia diverso). ma anche molta tristezza. sono contento di non aver giocato per prendere soldi ma perché mi piaceva e per una società dove mi piaceva stare anche se aveva un campo spellacchiato."


Ma so bene che l'argomento sarà alla base di tantissime altre pause pranzo ed altrettanti aperitivi per tanto tempo.

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65 Mount Anville Wood, 17 anni fa

Così, senza uno motivo preciso o forse sì, ho cercato l'indirizzo di dove stavo a Dublino.
Me lo ricordo bene: 65 Mount Anville Wood, Goatstown, Irlanda
La mia casa era quela di angolo, alla sinistra di quella con la piccola macchina color giallo metallizzato. La finestra a sinistra è quella della mia camera.
In fondo la via, svoltato l'angolo, la piccola stradina portava a quell'enorme parco con i pali per giocare a rugby e da dove si vedevano le luci del porto. In fondo al parco, un pub bellissimo. Ci sono entrato una volta con Andrea (di Valdagno, amico di Marco, Anna e Lara): ci hanno fatto uscire perché lui non era maggiorenne. Anche se dimostrava molto più dei suoi 16 anni di allora. Avrei voluto dirgli che da dove viene lui la birra è il minimo sindacale di alcolico che possono bere. Ma la legge e la legge.
Per fortuna c'era l'atro pub, dalla parte opposta, lungo la strada verso Stillorgan, dove sono andato un paio di volte con Andrea e Matteo ed il loro curioso coinquilino giapponese ("Coke? Coke no good! Guinness? Aaah! Guinness is good!!!"). E a volte anche da solo, perché tutto sommato era bello. Sia bere da soli che il pub. Basso, bianco e azzurro e pieno di fumo.
Mi ricordo quelle sera con Erica, Andrea e Matteo, Marika e Francesca e la sua coinquilina, a ridere e scherzare e a guardare tramonti indimenticabili, tra il rosa e l'azzurro fino al buio più completo brillantato di stelle.
Mi ricordo che quando io e Nicola uscivamo di casa la mattina e quando tornavamo da lezione il pomeriggio i bambini della via ci chiamavano per nome ridendo e non credevano che io fossi italiano. Non sono stati gli unici in quelle quattro settimane irlandesi. 

Chissà se la famiglia Kenny c'è ancora. Ho ancora le loro chiavi di casa (se l'anno prima mi ero tenuto volontariamente quelle di casa Cristodulou di Hastings, l'anno dopo me le sono dimenticate in tasca. Giuro!). Potrei andare a controllare.

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Fermi al palo

L’Italia sta davvero diventando una terra di razzisti ignoranti. Eppoi non andiamo in giro dicendo di essere una nazione avanzata democratica sviluppata.
Rispetto agli altri paesi europei in Italia costa tutto di più senza avere in cambio un adeguato servizio.
Il nostro governo tenuto su con lo schito di gallina (se mai lo schito di gallina riesce a tenere su qualcosa) ha riconosciuto
solo ora, nel 2013, ai figli nati fuori dal matrimonio gli stessi diritti dei figli nati all'interno. Il presidente del Consiglio ha pure avuto il coraggio di esultare dichiarandolo un “enorme passo avanti”. Siamo d’accordo che è enorme, come lo è il vergognoso ritardo con il quale il nostro Paese si sveglia e si adegua alla realtà che cambia.
L’Italia sta ancora discutendo sullo ius soli, quel diritto di nazionalità italiana che acquisisce un/a bambino/a nato in Italia da genitori stranieri così come per le coppie di fatto, il cui destino viene lasciato galleggiare nel tempo, salvo qualche iniziativa presa dai singoli comuni.
Oltre all'adeguamento delle proprie leggi alla realtà che cambia, ad un paese sviluppato non può mancare il rispetto per le persone.

A Schio, paesotto post industriale in provincia di Vicenza di quasi 40 mila anime,  si sono sollevate polemiche perché Miss Schio non solo non è autoctona di Schio perché viene dalla provincia di Padova, ma anche perché è di origine marocchina.
Così la notizia non è stata l’elezione di Miss Schio ma che Miss Schio non ha la pelle bianca.
A parte che il concorso era una tappa di Miss Bluemare 2013 e non era rivolto alle ragazze residenti nella cittadina vicentina
e che poteva anche chiamarsi “Mis Schianto d’un colpo” (eccezionale giochino di parole), in una realtà senza più confini mi sembra davvero triste che le persone se la possano prendere perché la vincitrice non è autoctona. Consiglio alle persone che criticano l’elezione di farsi un concorso in casa loro così se qualcosa non va almeno tengono la loro maleducazione tra le mura domestiche.

L’altro ieri, il vicepresidente del Senato italiano ha dato dell’orango a Cecile Kyenge, ministro dell’integrazione. Un’alta carica della Repubblica italiana ha offeso un componente del governo. Oggi a sostenerlo e ad avere 3' di notorietà nazionale è arrivato un compagno di movimento dicendo che l’offeso dovrebbe essere l’orango.

Non è la prima volta che un esponente di quella fazione umilia il ministro Kyenge: ci ha pensato qualche settimana fa una consigliera di quartiere a Padova che ha trovato ritorno mediatico nazionale chiedendosi perché nessuno stupri il ministro.
Almeno, l’esponente veneta è stata subito espulsa dal segretario regionale. Il vicepresidente del senato no. Forse il segretario lombardo è più tollerante (nei confronti dei suoi iscritti). Né ha trovato il coraggio di dimettersi mentre online partono addirittura delle petizioni.
Quando un politico di espone in questo modo però, penso che le dimissioni dovrebbero essere implicite ed automatiche.

Poi per carità, tutti questi avvenimenti non fanno che bene: servono infatti a dimostrare com'è davvero certa gente ed a capire da che parte stare, se a qualcuno venisse il dubbio.

A mio figlio non insegnerò che qualcuno è meno italiano di noi perché ha la pelle diversa dalla nostra nonostante sia nato in Italia da genitori stranieri (o da un genitore italiano ed uno straniero).
Non voglio che mio figlio guardi con stupore due uomini o due donne che si abbracciano o si baciano.

Questo è il nostro paese. Talmente abbagliato dalle sue bellezze da non accorgersi che si stanno sgretolando e che fuori dai suoi confini il resto del mondo sta cambiando senza pietà. Il resto del mondo avanza, l’Italia rimane indietro.
E non diciamo che siamo uno dei paesi più sviluppati. Non lo siamo né a livello tecnologico, tanto meno a livello culturale. Ed abbiamo tantissima strasa da fare, prima di raggiungere gli altri.

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Una città senza sport

Una città senza sport sarà presto la mia. Vicenza.  Eppure,  il palazzetto dello sport fino a qualche anni fa si riempiva di pubblico entusiasta per le ragazze del basket e del volley.
L’A.S. Vicenza ha vinto 12 scudetti (dicono niente i nomi Portorico Vicenza, Recoaro Vicenza, Zolu Vicenza e Primigi Vicenza?), 5 Coppe Campioni e 1 Coppa Ronchetti.
Il Vicenza Volley ha vinto una Coppa Cev ed una Supercoppa italiana.
Non solo sport rosa al pala sport: nel 1993 la squadra di basket maschile della Virtus Vicenza conquista per la prima volta la Serie A2 vincendo lo spareggio contro Ragusa ma la mantiene solo 1 anno. La riconquista qualche anno dopo ma non ci sono i soldi per mantenerla ed il titolo viene ceduto (ad Udine).
L’A.S. Vicenza è appena stata promossa in A2 ma gioca in un palazzetto di periferia.
Il Vicenza Volley non esiste più (grazie a conti economici degni del miglior costruttore di bamboline russe).
La Virtus Vicenza non lo so se esiste in quale campionato dilettantistico.
Il palasport rimane così senza sport, senza giocatori, senza pubblico, muto e vuoto. E pensare che il comune di Vicenza ci ha speso un sacco di soldi (pubblici, nostri) per ristrutturarlo. Per niente. Perché ci gioca nessuno. Non viene utilizzato nemmeno per i concerti.
Adesso, cosa impensabile, tocca al (dio) calcio: entro il 16 luglio se i dirigenti (parola grossa) del Vicenza Calcio non troveranno i soldi per iscrivere il club al campionato di Prima Divisione di Lego Pro rischia di finire nel calcio dilettantistico. Oppure di scomparire. Perché se anche trovano i soldi per l’iscrizione, non ci sono quelli per lo svolgimento della stagione sportiva.
Così dopo il palazzetto dello sport, anche lo stadio Menti dove nel 1996 è stata vinta una Coppa Italia rischia di rimanere vuoto a tempo indeterminato.
E per il sindaco di Vicenza il nuovo stadio rimane una priorità (lo ha detto qui, lo ha ribadito qui). Non so per quale club sportivo. Per le immobiliari si sicuro.

A Vicenza lo sport professionistico sta sparendo.

Rimangono il rugby, la pallamano, la pallanuoto, l’hockey in line e a rotelle, il baseball ed il bike-polo.Ognuno dei quali gode di un impianto sportivo rinnovato di recente.

Quello per il baseball, a detta della Federbaseball italiana uno dei migliori in Italia e che ha ospitato nel 2009 due partite del girone di semifinale di Coppa del Mondo.
Il campo di atletica, con tetto in legno dell'Alto Adige e nuovo tartan blu, utilizzato al massimo per i campionati provinciali studenteschi.
L'impianto sportivo (chiamarlo palasport mi sembra una presa per il culo) che ospita pallamano e hockey in line ed a rotelle ma non è in regola per competizioni importanti

Il più recente è quello del rugby: sei pali impiantati in un prato e una colata di asfalto per sistemare spettatori e spogliatoi. Bello, dicono.
A breve dovrebbero arrivare ben due piastre (se ricordo bene) per il bike-polo. A Vicenza abbiano una delle tre squadra più forti d'Europa, per chi non lo sapesse.
Con tutto rispetto per i rispettivi sport e le persone che dedicano il loro tempo, non è la stessa cosa. E non capisco perché pallamano e hockey in line non possano giocare nel palasport, visto che è vuoto (nonché a due passi).


Grandi soddisfazioni però arrivano dalla provincia: Famila Schio (basket femminile), Hockey Asiago (hockey ghiaccio maschile) e Hockey Valdagno (hockey a rotelle) quest’anno hanno vinto lo scudetto, con palasport strapieni.

Qualche giorno fa l’assessore a varie importanti cose, tra le quali anche lo sport, del Comune di Vicenza, in una intervista ha millantato l’operato della giunta per salvare il Vicenza Calcio. “Noi abbiamo fatto tutto il possibile.  Che succeda quel che deve ma mettiamoci un punto finale a tutta questa storia e ripartiamo da zero”. Non so a cosa si riferisse con “tutto il possibile”, a me però il resto suona come: “Ma va in malora anche il Vicenza Calcio! Il comune negli anni ha gettato milioni di euro nella manutenzione dello stadio. Dai, dopo basket e volley mi tolgo dai maroni anche il calcio e così non ho rotture di zebedei  né per il palasport né per lo stadio e io lavoro con due grossi problemi in meno!”
Atteggiamento strano quello dell'assessore, visto che all'inzio si era dimostrato contrario al progetto del nuovo stadio (leggere qui e qui) per sposare il progetto stadio nuovo nelle vicinanze delle elezioni (forse per tenersi la sedia di assessore? Leggi qui).


A Vicenza ci sono tre caserme (Chinotto con la Gendarmeria Europea, Ederle e Del Din per l’esercito americano) regalate agli occupanti mentre lo spazio per lo sport viene negato ai suoi cittadini.

Da quest’anno Vicenza però rischia di avere due impianti vuoti: palasport e stadio. Sarà felice chi ci abita attorno che si è liberato dai conseguenti disturbi. Almeno la qualità della vita di alcuni migliorerà tantissimo.
Pazienza se nel week end non si potrà andare a vedere una partita della massima serie, o mal che vada della seconda serie, di pallacanestro, pallavolo e/o calcio. In cambio si avrà un po’ più di quiete a tutto vantaggio anche della qualità dell’aria (si dirà).

Colpa della congiuntura economica (si dirà). Però Verona ha tre club iscritti a campionati di calcio professionistici (due in Serie A ed uno in Seconda Divisione di Lega Pro), Padova ne ha due in Serie B, Venezia ha attirato acquirenti russi.
La storia antica di Vicenza si ripete:  non è capace di vivere da sola e ha sempre bisogno degli altri (abbiamo sempre fatto gli approfittatori e agito secondo convenienza dandoci a Scaligeri, Dogi e padovani), ma allo stesso tempo chi le aveva sfoggiava le sue ricchezze in competizione con gli amici.

A Udine si è capito che il calcio può fruttare ed è un buon investimento. Ma serve la testa di gente seria, preparata con un piano di medio lungo termine preciso.
Non sta all’amministrazione comunale trovare le soluzioni per far ritornare lo sport di massima serie in città ma, per il bene della città, deve capire una cosa: che lo sport oltre ad essere utile a livello sociale è una risorsa da non sprecare. Non ha mai sentito parlare di turismo sportivo? O forse arriccia il naso di fronte a qualche decina di tifosi-turisti alla settimana, dopo le migliaia di persone che ha portato l’ultima mostra?

Ma sì, come per i concerti, per vedere lo sport, noi vicentini andremo a Verona o Padova. Vicenza diventerà una città esteticamente discutibile ma ricca di eventi per pensionati milionari.

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Caro ciclista #2

Perfino l’intellighentie Michele Serra scaglia più o meno bonariamente la sua amaca contro le biciclette, questa volta contromano. Raccogliendo la risposta del(la) neo presidente di FIAB
Democristianamente do torto e ragione ad entrambi, perché i ciclisti (di qualsiasi sesso, età, etnia e filosofia) sono spesso disinvolti e perché alcune strade non sono fatte per le bici tra rotatorie, rotaie del tram e piste ciclabili senza capo né coda.

Però non trovo l’utilità dell’attuale pesante propaganda del pedale se non si fa un po’ di educazione.
Parlavo tempo fa con un collega (eh sì, adesso posso dirlo) giornalista sui ciclisti che si sentono padroni della strada in virtù della loro forza motrice ecologica (fino a che qualche studio non troverà qualcosa che non va nel sudore o nell’anidride carbonica emessi dal nostro corpo) e del poco spazio occupato e cazzi vari. Era circa 2 anni fa, in un tentativo di ammazzare il tempo in attesa dell’aereo a Colonia, di ritorno dopo una fiera motociclistica facendo un confronto a due ruote tra due tipi di biker.

In effetti, quelli motorizzati, sono molto più corretti dal punto di vista del codice della strada. Per esempio, accendiamo i fari (ok, le moto moderne hanno il faro acceso sempre) anche di giorno, non solo la sera.

Me la ero già presa con i ciclisti perché nonostante una belle e spaziosa pista ciclabile a disposizione si ostinano a rischiare la vita lungo la strada, anche col buio la nebbia la pioggia con l’ombrello in mano ed il faro spento.

Oggi ne stavo tirando sotto un’altra perché all’improvviso, a 16 metri dalle strisce pedonali e ad altrettanti da me, butta mezzo braccio sinistro e va in mezzo la strada! Freno fisso, le suono e le arrivo al fianco urlandole dietro di guardare prima di svoltare. È americana, non capisce o forse ne approfitta (oddio, non sono anti americano! Se proprio volete dettagli vi dico che era di colore, ma non sono nemmeno razzista, anzi, era una bellissima ragazza, a parte la tinta dei capelli che ho trovato discutibile) per rispondermi nella sua lingua. Replico altrettanto e ci sfanculiamo a vicenda ognuno proseguendo per la propria strada in una sequenza molto veloce di parole e gesti per niente cortesi.
Se la centravo (o, secondo un altro punto di vista, se si buttava sotto le ruote della mia Bonnie) rischiavo di avere torto o un premio al valore civile? 

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